Questa Sera Parliamo di...: La Donazione degli Organi
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Padre FRANCESCO COMPAGNONI
Cagliari 22 maggio 2001

La Donazione degli Organi

Il tema che dobbiamo trattare questa sera è un tema molto interessante in bioetica perché non è di così bruciante attualità come altri che polarizzano immediatamente le posizioni. Se parliamo di ricerca in bioingegneria o di eutanasia, subito constatiamo che è facile rilevare atteggiamenti personali favorevoli o contrari, al punto che resterebbe facile dire: "chi è pro vada da questa parte e chi è contro vada dall'altra". Il tema invece di questa sera è più complesso e in una certa maniera più tranquillo.

Per quanto esistano dei sostenitori ad oltranza e dei detrattori dell'ultima legge sui trapianti, noi vogliamo comunque prenderla tranquillamente in modo da poter riflettere, oltre a questo tema, ad altre implicazioni nel campo della vita e dell'etica della vita.

Cominciamo con alcune brevissime nozioni storiche che ci possano far vedere come la trapiantologia si è sviluppata praticamente con la medicina moderna, che corrisponde alla medicina del XX secolo. Praticamente tutto ciò che accade prima del XX secolo - lo diciamo un pò sottovoce - è una preparazione alla nostra medicina. Sappiamo che fino dal 1902, dal punto di vista chirurgico, i nostri antenati (i predecessori dei medici in sala) erano in grado di eseguire materialmente un trapianto soprattutto attraverso tecniche operatorie di sutura. Ci sono stati poi dei precursori che hanno applicato queste tecniche al trapianto. Nel 1908 ci fu il primo trapianto riuscito di un medico francese, Alexis Carrel, insignito del premio nobel nel 1912, che trapiantò il rene ad un cane; lo stesso rene fu estratto con una tecnica chirurgica appropriata e fu reimpiantato.

All'inizio riuscì a tenere l'organo in vita per una trentina di minuti, successivamente anche alcune ore. Chi è pratico di queste cose si può rendere conto della grande svolta e del grande impatto che ha avuto sui colleghi dell'epoca, essere riusciti a fare una cosa del genere. Il Carrel diceva che un simile trapianto non poteva danneggiare le funzioni del rene, che è un organo delicato, anche dopo un lungo periodo. Sul piano strettamente chirurgico il trapianto d'organo era diventato una realtà (e aveva ragione, sul piano strettamente chirurgico).

Negli anni seguenti si svilupparono diverse prove e i medici scoprirono il fenomeno del rigetto, il quale rilevò che era possibile trapiantare l'organo solamente nell'organismo dal quale lo stesso organo proveniva; appena si usciva da questo, nascevano grossi problemi. I trapianti perciò, rimasero per decenni — diremmo - argomento della medicina del futuro, cosa per gente che in una certa maniera o aveva da intraprendere carriera universitaria o aveva tempo da perdere.

Negli anni 40 un medico, che probabilmente voi del giro ricorderete ancora, Peter Midewar (il quale ha pubblicato molte cose anche a livello, non dico divulgativo, ma quasi), scoprì il meccanismo del sistema immunitario per cui avvengono i processi di rigetto. Nel 1954, io non lo ricordo, ma può essere che qualcuno di voi lo ricordi, avvenne un primo vero trapianto, eseguito da Joseph Marowic, che molti anni dopo ( …anche nei premi Nobel ci sono le liste d'attesa) diventò Premio Nobel. Questi infatti, riuscì ad effettuare un trapianto di rene fra gemelli, riuscendo non solo ad attuarlo, ma consentendo al ricevente di vivere addirittura 8 anni. Il ricevente morì d'infarto.

Tuttavia per i medici era chiaro che era stata fatta una svolta notevole, ma sempre gemelli erano, era sempre all'interno di questo discorso.

Il passo successivo a livello medico, fu quando si riuscì ad individuare i cosiddetti Gruppi Tessutali per i quali è necessaria una Istocompatibilità che ha a che fare con la consanguineità, ma non necessariamente. Questa fu una scoperta del medico francese Dossé il quale ricevette il Premio Nobel nel 1980.

Il sottolineare i Premi Nobel serve semplicemente a farvi attenti del fatto che il campo medico era ben cosciente che questi erano grandi salti in avanti.

Allora, l'articolo di Dossé è del 1958 e nel 1962 fu effettuato, con un buon risultato, un trapianto fra due persone che erano lontanamente parenti. Vedete, ci si allontana sempre di più, ci si allarga.

Infine, abbiamo l'ultimo sviluppo. Il 3 dicembre 1967 a Città del Capo in Africa del Sud, il cardio-chirurgo Cristiaan Barnard fece il primo trapianto di cuore. Tra l'altro, il dottor Barnard era un gran bell'uomo, si direbbe, e seppe sfruttare bene anche questa sua dote. Lo ricordiamo sicuramente tutti (lo ricordo io, quindi lo ricorderete anche voi, almeno quelli che hanno l'età giusta per ricordarlo), per anni abbiamo saputo tutto di lui: che si separava, che si risposava, che aveva l'artrite deformante alle mani. Vi ricordate? Era veramente un eroe.

Fu quindi superata la barriera della ricezione pubblica del trapianto. Questo è molto importante, perché in quella occasione si capì che non era stato trapiantato un rene, che nel nostro immaginario è una cosa importante - lo sappiamo - ma non è una cosa, dal punto di vista culturale, s'intende, essenziale, ma era stato trapiantato un cuore, dove tutti capivano che lì era la pompa, tutti la potevano sentire e tutti comprendevano la funzionalità sia circolatoria che - se volete - la funzionalità culturale.

Dopo di lui si fecero molti altri trapianti. Possiamo dire che il primo trapianto di fegato serio fu fatto nel 1963, quello di pancreas nel 1966, quello di polmone nel 1969. Successivamente ci fu l'esplosione di quella simpatica "signora" che si chiama la Ciclosporina, che radicalmente affrontò il problema del rigetto.

Attraverso i trapianti, quindi, ci accorgiamo di seguire veramente la nascita e lo sviluppo della medicina moderna, processo, tra l'altro, sostenuto dagli sviluppi della farmacopea, rilevati nella scoperta (se ricordate) negli anni 20 dei sulfamidici e degli antibiotici. Entriamo già nella farmacopea che ancora oggi viene utilizzata.

Alla fine del 1800 si diffusero scuole di medicina accademica serissime, le quali sostenevano che compito del medico era semplicemente quello di diagnosticare, poiché si rendevano conto di non potere fare quasi nulla per il malato. La nonna del medico - verso il 1880, più o meno — poteva raggiungere gli stessi risultati del medico. Entrambi sapevano molte cose, ma non riuscivano ad intervenire.

Diciamo allora che lo sviluppo della medicina ha seguito lo sviluppo dei trapianti.

Queste sono note storiche che tra l'altro ho preso da una tesi di Dottorato di ricerca (sarà difesa tra 15 giorni nella mia facoltà) di un giovane prete polacco (Jacek Reczek) che ha fatto veramente una gran bella tesi sui trapianti concependoli come "atto di donazione".

Lasciando perdere la storia, ci chiediamo a che punto siamo adesso con i trapianti? Ora non siamo più così cinici come la scuola viennese che voleva diagnosticare, ma non era capace di curare. Oggi si vuole curare. Le informazioni sui trapianti si possono avere molto facilmente dal nostro centro Nazionale Trapianti che è appoggiato all'Istituto Superiore di Sanità, organizzato con molta serietà 2 anni fa e diretto da Alessandro Nanni Costa, un giovane medico di 45 anni. Su Internet basta cercare la voce "trapianti" sul sito dell'Istituto Superiore di Sanità e non su quello del Ministero della Sanità.

In fondo questi sono dati significativi, ma possono annoiare. Per non complicarci troppo la vita sono disponibili in linea i dati fino al marzo 2001; questo non è soltanto merito di Alessandro, ma è anche merito delle Associazioni dei parenti e di quelli che hanno bisogno di essere trapiantati, i quali hanno dato vita ad un vero e proprio movimento di opinione.

Esiste una classifica precisa dei donatori effettivi in Europa nel 2000 - l'ultima che ho trovato — in grado di dare un idea a chi non è troppo del mestiere. Le percentuali sono calcolate su milioni di abitanti. La Spagna (il paese da cui viene lo stile di questa chiesa) è all'avanguardia: in cifre assolute si rilevano 33,9 (34) donatori per 1 milione di abitanti. Il paese che è più sotto - lasciando perdere i motivi - è la Grecia che non arriva a 2 donatori per milione. L'Italia sta a metà della nostra classifica con 15,3 donatori per 1 milione di abitanti. Diciamocelo chiaramente, che pur essendo nel nucleo trainante dell'economia, della tecnologia, ecc., onestamente siamo un pò sotto la media europea che si attesta a 16, 5 donatori per milione.

Però le statistiche vanno studiate su grandi numeri e sui trend che descrivono. Le tendenze italiane sono buone e credo che lo si possa vedere anche dal fondo (questa tabella fa riferimento agli anni 1992 - 2000); sale molto velocemente sia per le tecniche, sia per l'impegno di molte persone. Noi siamo passati, in Italia, da 5,8 nel 1992 a 15,3 donatori effettivi nel 2000.

In Italia c'è una grossa differenza di tendenze a seconda delle regioni che andrebbe approfondita, ma non è compito nostro qui, o almeno non mio. Probabilmente è un problema di "sociologia sanitaria". Nel 2000 il Nord contava 23 donatori su milione di abitanti, il centro 14 e il sud arrivava a 6,4.

Se guardiamo adesso regione per regione, in Italia, nel 2000, quella che addirittura sorpassa la Spagna, sulle piccole cifre, è la provincia autonoma di Bolzano. Tali situazioni non sono equiparabili, considerato il fatto che la Spagna conta 35.000.000 di persone e la provincia autonoma di Bolzano ne conta solo 300.000. Il dato più basso nel 2000 è quello rilevato in Sicilia, 2,4 donatori, mentre la Sardegna sta realmente a metà, 13,3.

È positivo verificare come tutte le regioni siano in salita. Solamente la Lombardia descrive trend in discesa, ma per il caso lombardo forse esistono spiegazioni tecniche, collegate ai numeri un pò piccoli, per cui è facile avere una salita o una discesa.

Se guardiamo i donatori effettivi, vediamo che la Sardegna è sempre a metà della classifica. Considerando le generalità delle stesse donazioni, possiamo leggere le tabelle "prelievi e trapianti". C'è una leggera differenza tra prelievi e trapianti, perché può succedere qualche incidente dal momento dell'espianto a quello del trapianto. Nel 1998, in Sardegna, ci sono stati 14 donatori e nel 1999, 20 (è un incremento notevole). I donatori multiorgani sono passati da 9 a 14 e passando adesso, in un modo più comprensibile, ai singoli organi, abbiamo avuto nel ‘99, 36 donatori di reni, 12 di cuore, 14 di fegato, 4 di polmone, 6 di pancreas. Più in là di queste cifre io non so andare: è un problema piuttosto complesso interpretarle, però mantengono una loro significazione relativa.

Dopo queste statistiche, possiamo chiederci quanto sia "vigente" l'attuale legge sui trapianti in Italia. Mi è venuta in mente due giorni fa questa domanda, mentre preparavo questo intervento, preoccupato del fatto che non se ne sente più parlare. Siamo in tanti ad avere la tessera blu in tasca, ma cosa succede realmente se il mio aereo cade ecc., ecc., ecc.?

Mi sono informato direttamente. Le disposizioni della legge vigente hanno un impatto sulle persone quasi nullo, perché chi non si è espresso, risente del parere vincolante dei parenti. Molti centri specializzati inoltre — mi dice uno di questi — di fatto chiedono parere ai parenti anche quando la persona si sia già espressa favorevolmente alla donazione. Quando ho saputo ciò, mi son detto: "Ah! I soliti Italiani che non fanno niente". Riflettendoci un pò di più però, mi è sembrata una consuetudine molto saggia perché ha un impatto notevole su un paese come il nostro, che ha difficoltà addirittura a raccogliere il sangue, figuriamoci a trapiantare gli organi!

Se nelle parti indubbiamente più antiche di cultura come il Sud Italia c'è tanta resistenza, ci sono delle motivazioni; quindi, il fatto che si vada piano nell'applicare la legge direi che è un buon segno.

Allora, attualmente, al di là delle cifre, come sta la situazione? Anche qui si può consultare il sito della Sanità. Due anni fa sono stati fatti milioni di questi opuscoli, con l'idea di rispondere alle domande principali dei non addetti, quali innanzi tutto: "che tipo di organi possono trapiantarsi realmente?"

Gli organi li abbiamo già indicati: le valvole cardiache, i vasi sanguigni a certe condizioni, certi tessuti ossei, cartilagine, tendini e anche cute, in più c'è una possibilità anche sull'intestino, i tessuti poi li sappiamo, le cornee, che si possono donare anche in età avanzata.

Una cosa importante, che poi riprenderemo dal punto di vista teorico, è come si fa ad affermare, o chi dichiara, che quel cuore è morto. Se ricordo bene, un paio di anni fa ci fu un caso di una ragazza qui in Sardegna che fece molto discutere, ma non lo ricordo più con precisione per cui non è il caso di discuterne.

Attualmente, lasciando perdere i donatori tardivi, il problema principale del trapianto da cadavere a viventi come viene risolto? Adesso sono riuscito a liberarmene, ma c'era una simpatica signora di Bergamo che perseguitando i bioetici, mandava della documentazione sul rapimento degli organi e cose di questo genere. Questo a testimonianza del fatto che esiste, anche se può sembrare strano, un movimento che s'incentra su questo problema rilevando dei casi in cui si è affrettata la morte, senza avere la certezza e la garanzia delle tecniche adoperate.

Attualmente allora il problema è determinare non che cosa vuol dire che uno è morto, ma di dire concretamente come viene determinata medicalmente la morte. Sono due cose molto diverse in quanto fanno riferimento, il primo, al significato della morte a livello filosofico (se ne può discutere fino all'anno 8000), mentre il secondo richiama semplicemente quei criteri e quei sintomi della morte a cui solamente un medico può dare delle risposte, come di fatto ha dichiarato anche il nostro Comitato Nazionale per la Bioetica.

Ve li leggo perché sono molto semplici e perché non voglio aggiungere più di quanto qui viene detto.

Allora, si parte dall'idea che siamo di fronte a un morto quando abbiamo una totale assenza di funzioni cerebrali, e quindi si presuppone che questa cessazione delle funzioni venga da un prolungato arresto della circolazione per almeno venti minuti o da un gravissimo trauma che ha colpito direttamente il cervello. In questi casi, quando siamo davanti a un quadro di questo genere, ci sono tre specialisti (un medico legale, un rianimatore e un neurologo) che eseguono una serie di accertamenti clinici per stabilire, per un periodo di almeno 6 ore consecutive, la contemporanea assenza di quanto segue: riflessi che partono direttamente dal cervello, reazione agli stimoli dolorifici, respiro spontaneo, lo stato di coscienza e qualsiasi attività elettrica del cervello, dopo di che si procede all'espianto.

È necessario che la legge stessa preveda dei sistemi di controllo affinché non si espianti troppo "allegramente"; in quanto - è chiaro - che dal punto di vista biologico prima si fa, meglio è. Sapete, ci sono due Équipes ben distinte: una che fa il primo intervento, una che fa il secondo intervento. I Centri Regionali e il Centro Nazionale controllano tutti i passaggi e direi che grosso modo finora in Italia la cosa ha funzionato bene anche perché, essendo noi un caso di eccezionalità, l'opinione pubblica li segue molto bene.

Una volta che abbiamo adesso questo quadro possiamo passare alla cosa che a noi più interessa come riflessione etica, per quanto quello che vi ho detto io - almeno nel modo - è un pò partigiano, perché è chiaro che io sono favorevole e non vedo nessuna difficoltà teoretica. Diciamo che, la riflessione di tipo etico, etico - cristiana, ma anche etico-generale, parte da una situazione nuova secondo la quale si possono donare degli organi che apparentemente sono vivi.

Noi sappiamo che la morte è un processo molto complesso, c'è la morte cellulare, dei tessuti, degli organi, secondo un'evidenza scientifica diversa da quella umana. Basta pensare alla considerazione della Biologia per cui tutti i corpi, tutti i viventi sono uguali (anzi, più il biologo è freddo, oggettivo, meglio è). Il mio corpo, il rapporto che io ho col mio corpo o che ho con il corpo di mio padre è un rapporto molto diverso. Ci sono delle lingue come il Tedesco che usano due termini diversi, uno per dire il corpo umano e uno per dire il mio corpo umano, perché noi ci identifichiamo con il nostro corpo. Noi quando ci fa male un piede, non diciamo: "fa male il piede a Francesco Compagnoni", questo lo dice un bambino; io dico: "Mi fa male un piede, mi fa male la testa", e anche il modo di dire la mia testa o la mia mano, non è lo stesso modo di dire la mia penna.

Da qui, il fatto che si possa intervenire sul corpo pone tutta una serie di problemi che vengono proprio dal fatto che noi abbiamo un rapporto estremamente particolare con il nostro corpo a livello individuale. Ad esempio, ci si può chiedere se sia lecito donare in vita un organo (perché un rene si può donare in vita) e non considerare questo come una automutilazione. E se io posso donare un rene, perché non ne posso donare due, nel senso che mi suicido? Decido in favore dei miei due figli, o per due ragazzi giovani, ed io muoio! Perché non lo si può fare? Lasciando da parte i problemi giuridici, certamente sono forme, nel caso semplice della donazione del rene, di automutilazione. Il Codice Civile, fino al 1967, non ammetteva la cosiddetta autodisponibilità del proprio corpo.

Allora, se adesso il Codice lo permette, perché non ci si può chiedere ulteriormente: "Se io dispongo dei miei organi, perché non li posso vendere?" Negli Stati Uniti almeno fino a poco tempo fa, si poteva vendere il sangue, mentre la nostra legge proibisce di vendere gli organi.

Ci sono dei problemi di visione culturale, in generale, della corporeità. Il modo con cui una cultura si pone verso il corpo in genere è un qualche cosa di molto qualificante. Conosciamo culture primitive, per esempio, dove i morti si seppellivano sotto al pavimento di casa, culture dove le ceneri si tenevano in casa, culture dove le ceneri si mangiavano. Ma non dobbiamo pensare in senso volgare, antropofago. Era una forma di continuazione. Poi ci sono quelle culture veramente "negative" in cui si mangiava un organo dell'avversario per acquisirne la forza, ma questo a noi non interessa. La nostra cultura occidentale, oggi, che rapporto ha con il corpo? Non lo so, io non ci ho mai pensato bene; mi sembra che oggi i morti si vedano molto poco.

Io ricordo ancora, e penso anche tutti voi ricorderete, il primo morto che ho visto. Dal primo che ho visto, era uno zio morto nel '50, all'ultimo, che era una zia che è morta all'ospedale, c'è una differenza abissale, perché la zia era nella camera mortuaria, ce l'hanno aperta, l'abbiamo guardata (tra l'altro era una persona molto dolce, una bellissima zia anziana), era come persa lì dentro; mentre, ricordando lo zio morto, nel 1950 era tutta un'altra cosa. Ricordo ancora, suo figlio giovane - aveva 6 o 7 anni - che continuava a raccontare barzellette, per cui la sorella più adulta doveva cercare di non ridere; allora non è come adesso che un bambino poteva ridere davanti ad un morto.

Oggi abbiamo anche una visione diversa della vita. Possiamo chiederci se valga la pena il prolungare una vita, se lo si possa fare ad ogni costo, oppure se non valga piuttosto la cosiddetta qualità della vita. Questo tra l'altro poi fa problemi grossi di altro genere: per lo stabilire le linee, le liste d'attesa, si possono fare tutti i calcoli; quanti anni in buona salute restano a quella persona. Però a me viene sempre in mente, l'ottantenne che ha "questa, questa , questa " malattia e gli viene calcolato che avrà ancora cinque anni in buona salute, e il ventenne che invece ne avrà sessanta.

Ma se l'ottantenne non è d'accordo? Come si fa a dirgli: "Guarda che tu vali meno perché hai cinque anni di attesa di vita in buona salute e l'altro ne ha sessanta?" E se lui dice "Sì, ma questi sono i miei". Cosa gli si risponde? A livello di politica sanitaria sono cose serie. Vi ricordate quando, una decina di anni fa il Servizio Sanitario Nazionale Inglese escluse per un mese, o cercò di escludere, gli ultra sessantenni dalla dialisi a spese pubbliche?

I sessantenni avevano tutti dei figli e dei nipoti; successe l'ira di Dio e fu sospeso tutto.

Inoltre, i criteri di dichiarazione di morte (che abbiamo visto velocemente) sono sufficienti o no? Se sono certamente sufficienti a livello biologico, occorre però ricordare, come abbiamo detto, che la morte di un uomo non è soltanto un fatto biologico.

A tutti questi problemi filosofici si aggiunge, a complicare il quadro, la complessità dei problemi di organizzazione sanitaria e di reperimento, oltre alle difficoltà dell'assegnazione degli organi disponibili. Gli organi mancano in tutti i paesi e quelli che ne hanno la disponibilità ne riservano l'uso ai propri cittadini. Pur avendo i cittadini dell'Unione Europea la possibilità di "emigrare", il Belgio ha ritenuto di bloccare la corsa europea ai trapianti di reni per non appesantire le già lunghe liste di attesa. Anche gli altri paesi quindi fanno i "conti" e allora i famosi trapianti di reni a Bruxelles non si fanno più perché hanno detto: "Se voi non ce li avete, sono problemi vostri! Perché dovete entrare voi nelle nostre liste d'attesa?". Ma ancora di più, esistono problemi relativi alla cosiddetta educazione civica (chiamandola così).

Dal punto di vista etico e giuridico, è necessario tener presente che esistono diversi tipi di trapianto. Un conto è il trapianto da vivente e altro conto è quello da cadavere; gli autotrapianti sono un problema, quelli invece autologi — che provengono dalla stessa specie - sono un altro problema. E poi i cosiddetti xenotrapianti; ultimamente non se ne sente tanto parlare perché dopo tutte le varie forme di mucche pazze, mucche blu e cose del genere, nessuno è direttamente interessato.

Comunque, la problematica è molto diversa, secondo come ci si pone.

Adesso, dal punto di vista strettamente cristiano, dovremo dire che la posizione cattolica si è molto sviluppata negli ultimi decenni contestualmente con lo sviluppo della domanda sociale, generata dal rapido evolversi della problematica. Allo stesso modo, l'etica filosofica e le varie branche del diritto interno e internazionale e la giurisprudenza, hanno seguito lo stesso percorso: da un iniziale cautela ad una progressiva apertura. La stessa cosa ha fatto la teologia morale, che negli anni cinquanta aveva ancora molte riserve sulla donazione di organi tra viventi, in quanto manteneva il principio classico della "Non disponibilità del proprio corpo". Se vogliamo prendere due documenti significativi al riguardo, possiamo iniziare con il discorso di Pio XII all'Associazione dei donatori di cornea e l'Unione Italiana Ciechi di Pio XII che è del 14 Maggio 1956. Questo è un documento del 1956, quando — ricorderete - il primo trapianto vero si era fatto nel 1954. È ancora, per sommi capi, un documento fondamentale che, affronta i problemi principali relativi ai trapianti. Lo vediamo velocemente per renderci conto in che modo cinquant'anni fa un'istanza autorevole e seria, rifletteva dal punto di vista morale. Innanzi tutto vengono considerati solo i trapianti da cadavere, e questo implicitamente rileva un giudizio abbastanza negativo sugli altri generi di trapianto. Affronta però, i problemi dello xenotrapianto - tra specie diverse - e non avanza nessun principio contrario dal punto di vista etico, mentre si rifiuta, evidentemente, l'impianto ipotetico delle ghiandole genitali animali sull'uomo, mentre non si trova nessuna difficoltà morale per il trapianto di cornee. Quindi le difficoltà non sono intrinseche alla problematica, ma sono piuttosto estrinseche. È significativo che Papa Pacelli non accetti però un obbligo generalizzato di trapiantare da cadaveri umani.D'altra parte il cadavere non è più, in senso proprio, soggetto di diritto, perché è privato della personalità che sola può essere soggetto di diritto.

Il cadavere, viene sottolineato, non è più un uomo in senso giuridico; non di meno vi è inerente qualche cosa della dignità della persona; anzi, esso è un componente dell'uomo che è stato formato in modo particolare ad immagine e somiglianza di Dio. Per questo, esso è destinato alla risurrezione e alla vita eterna. E qui, diciamo così, siamo molto contenti di avere questo dogma che è molto ecologico! Si dice sempre che i dogmi religiosi sono sorpassati: finalmente ne abbiamo uno che sottolinea bene la nostra appartenenza alla terra e l'appartenenza alla terra; testimonia "la continuità della vita" in tutte le forme.

Dice il Papa: "Se la decisione di donare i propri organi non deve essere condannata ma giustificata positivamente, non sussiste però un dovere o un atto di carità obbligatoria". Sta parlando a livello morale e quindi, in una certa maniera, salva tutti noi.

"Nella propaganda - è una citazione testuale - bisogna certamente osservare una riserva intelligente per evitare conflitti interiori alle persone o anche esterni; ma, d'altra parte, bisogna educare il pubblico e spiegargli con intelligenza e rispetto che, consentire esplicitamente o tacitamente ad interventi seri sull'integrità del cadavere nell'interesse di coloro che soffrono, non offende la pietà dovuta al defunto quando per questo ci sono delle ragioni serie. Questo permesso può, malgrado tutto, comportare per i parenti prossimi una sofferenza e un sacrificio; ma questo sacrificio s'aureola di carità misericordiosa verso dei fratelli sofferenti".

Mi permetto di sottolineare "fratelli sofferenti". Di fronte a noi c'è qualcuno che è profondamente sofferente.

"I poteri pubblici - continua il testo - possono infine contribuire efficacemente a far entrare nell'opinione pubblica la convinzione della necessità e della liceità morale di certe disposizioni riguardanti il cadavere e pervenire così ad evitare l'occasione di conflitti interiori ed esteriori degli individui, la famiglia e la società. In particolare, i pubblici poteri, hanno il dovere di vegliare alla loro messa in pratica e, innanzi tutto di prendere delle misure per cui un cadavere non sia considerato e trattato come tale prima che la morte non sia stata debitamente constatata".

Direi che in questo testo, che risale a cinquant'anni fa, abbiamo tutto. Lo sottolineo non per dire quanto è intelligente Papa Pacelli, ma per dire che i problemi sono nuovi fino a un certo punto.

Il testo successivo, che vorrei presentarvi, è un testo del 1991. È un discorso di Giovanni Paolo II ai partecipanti del primo Congresso Internazionale sui trapianti di organo, che penso sia stato organizzato dal Prof.Cortesini, il primo, se ricordo, a fare trapianti di fegato in Italia. Doveva essere molto giovane perché insegna ancora.

La medicina dei trapianti, una decina di anni fa, era in pieno sviluppo e non si trattava più tanto di riferirsi ad un possibile futuro, quanto piuttosto di invogliare a partecipare ad un grandioso movimento mondiale, sia biomedico che di solidarietà. A differenza del testo di Pio XII l'andamento del documento di Papa Wojtyla è meno incentrato su norme morali da seguire e più sulle motivazioni, cioè sui valori da realizzare. Il testo dice: "Grazie alla scienza e alla formazione professionale e alla dedizione di medici-operatori sanitari, si presentano nuove e meravigliose sfide. Siamo chiamati ad amare il nostro prossimo in modi nuovi, in termini evangelici, ad amare fino alla fine" (È una citazione del vangelo di S. Giovanni, ricordate, dove si dice:"Gesù amò i suoi discepoli e li amò fino alla fine").

Anche se entro certi limiti, che non possono essere superati, limiti posti dalla stessa natura umana, infatti, l'atto medico di trapianto e persino la semplice trasfusione di sangue, è inseparabile da un atto umano di donazione, non può essere separato dall'atto di oblazione del donatore, dall'atto che dà la vita. Questo, per chi di noi è donatore di sangue è evidente. Quando si va a dare il sangue l'atmosfera è tecnica, però è allo stesso tempo estremamente umanizzante. La gente non solo si conosce, ma è evidente che fa un dono, che non siamo lì a vendere qualche cosa.

L'operatore sanitario diventa quindi mediatore di qualcosa di particolare significato: il dono di sé, compiuto da una persona, persino dopo la morte affinché un altro possa vivere. Offrire in vita una parte del proprio corpo, offerta che diventa effettiva dopo la morte, è un atto d'amore di chi dà la vita per gli altri.

Il Magistero nel campo dei trapianti da cadavere si è appoggiato, per la questione cruciale della determinazione della morte, ad una dichiarazione del 1985 della Pontificia Accademia delle Scienze che portava il titolo: "Dichiarazione circa il prolungamento artificiale della vita e la determinazione esatta del momento della morte".

Dopo la morte della persona, identificata con la morte cerebrale, che consiste nella cessazione irreversibile di ogni funzione cerebrale, constatata con certezza e con le dovute verifiche, è lecito procedere al prelievo degli organi come anche surrogare artificialmente alle funzioni organiche per conservare vitali gli organi previsti per il trapianto.

In un testo successivo, che è l'Evangelium Vitae, l'enciclica sulla bioetica del 1995, il Papa richiama l'attenzione su alcuni problemi particolarmente delicati, dal punto di vista morale, emersi dalla prassi decennale dei trapianti e sottolinea negativamente la tendenza, per aumentare la disponibilità di organi da trapiantare, a procedere all'espianto degli organi, senza rispettare criteri oggettivi ed adeguati di accertamento della morte del donatore. Si configurerebbe in tal caso una forma subdola di eutanasia. Questo richiamo è particolarmente opportuno, nel nostro paese, nel quale questi dubbi vengono di tanto in tanto sollevati anche a rinforzo della poca disponibilità alla donazione. Giovanni Paolo II nella stessa enciclica afferma che la stessa condanna morale riguarda anche il procedimento che sfrutta gli embrioni, i feti umani ancora vivi, talvolta prodotti appositamente per questo scopo mediante la fecondazione in vitro, sia come materiale biologico da utilizzare, sia come fornitori di organi o di tessuti da trapiantare per la cura di alcune malattie.

Questo è un aspetto emotivamente fortissimo. Tutti noi vorremo aiutare i malati di Alzheimer, ma non possiamo tagliare la testa a qualcuno per salvarli; non è colpa dell'embrione se esiste questa malattia. In realtà l'uccisione di creature umane innocenti, seppure a vantaggio di altre, costituisce un atto assolutamente inaccettabile.

Il Papa mette sullo stesso piano eventuali travalicamenti troppo veloci nell'espianto, allo stesso livello di quando si usa l'embrione o i feti per trapianti in favore di qualcuno che ne può avere bisogno.

Nel complesso si può dire allora che, la dottrina della Chiesa sui trapianti si è sviluppata con gli stessi successi tecnici di questa materia. Questo vorrei sottolinearlo perché è avvenuto realmente così: sono stati molti i successi tecnici e alcuni gli insuccessi morali.

Nelle Associazioni Volontarie che si occupano dei donatori, dei trapiantati, della promozione di una cultura del dono, la presenza di Cristiani è notevole. I punti di frizione si trovano piuttosto in quegli ambiti sia teorici che pratici, dove l'interesse diretto, o l'utilitarismo culturale, entra in collisione con la visione del corpo umano personalista e trascendente propria del Cristianesimo. Tra queste Associazioni Volontarie, ne conosco una a Bologna che assiste il Centro Trapianti: è una cosa splendida, meravigliosa. Addirittura quando il trapiantato, cioè colui che dovrà ricevere, arriva, viene accolto all'aeroporto da una personache l'anno prima o due anni prima è stata trapiantata.Costoro sono ben consce di aver ricevuto un dono e in qualche modo lo rimettono a disposizione dicendo: "Vedi io ho fatto questo, certamente ci saranno questi problemi…". Io quando vedo queste cose m'impressiono perché, sono come delle pietre preziose dentro a un castone d'oro che è la tecnica e i due aspetti si compenetrano. Chi lavora in questo campo ha spesso una forte carica di umanità.

La legge Italiana sulla determinazione della morte, risalente al 1993, è sulla stessa linea della dichiarazione Pontificia del 1985; la legge sui trapianti (del 1999), insieme a quella del 1993 poc'anzi richiamata, è sostanzialmente conforme ai principi e ai criteri morali e cristiani finora esposti.

La legge sui trapianti prevede che il silenzio del cittadino informato - bisogna provare l'informazione - equivale all'assenso. Nella sua applicazione il peso deve quindi essere dato dalla informazione-formazione dei cittadini, in modo che, da una parte la donazione di organi diventi parte del costume come quella del sangue, dall'altra sia rapidamente incrementata la solidarietà.

Permettetemi di sottolineare questi due aspetti; da una parte bisogna aiutare la gente a crescere, dall'altra però qualche spinta bisogna pure darla, perché altrimenti gli altri muoiono perché noi non ci svegliamo: sono le due cose insieme che vanno portate avanti.

Per cui diciamo che la nostra media italiana, che è sotto la media europea, deve essere notevolmente incrementata se vogliamo essere, io direi, un paese civile.

Un'ultima cosa, poi chiudiamo! Io penso che si potrebbe, al di là di questi ragionamenti, farne uno anche di tipo più stringato che non serve molto a livello pratico, ma a livello di formazione generale, di cultura, sì. Uno dei principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa è la destinazione universale dei beni, cioè tutti i beni che gli uomini hanno sono di tutti e per le cose essenziali. Ricordate che si è sempre detto, che se qualcuno rubava per mangiare non era un furto; e chi di voi non si seccherebbe se qualcuno gli rubasse in cucina? Però, se ci riflettiamo, se qualcuno realmente rubasse in cucina un pezzo di pane o salame per mangiare, ci vorrebbe del coraggio per dire "disgraziato….ecc .., ecc …." Ora, questo principio, basato sul fatto che tutti hanno diritto alla sopravvivenza, non solo si congiunge con i diritti dell'uomo, ma rientra nel principio per cui tutti hanno diritto alla sopravvivenza e noi potremo dire "in una società affluente come la nostra uno può rubare non solo un pezzo di pane, ma anche un pezzetto di formaggio o di salame".

Questo vale soprattutto quando gli altri hanno qualcosa di sovrabbondante. La progressione delle tasse è basata proprio su questo; è una forma di ridistribuzione. Il Servizio Sanitario Nazionale è basato su questo. Nel caso di donazione di organi da cadavere, la proprietà del mio corpo non mi serve più a niente; dal punto di vista strettamente razionale io non posso dire: "È il mio, me lo tengo!". Io non ho più nessuna utilizzazione di me. Sarebbe come dire "Tu crepi di fame, io ho due pezzi di pane, uno lo mangio, l'altro lo butto ai porci, basta che non te lo dia". Mentre, se questo organo serve a salvare la vita di un'altra persona o ad aumentare la sua qualità di vita essenziale, non vedo dal punto di vista logico, aggiungendosi al principio della destinazione universale dei beni, nessuna possibilità di opporsi a livello teoretico. Ci sono i problemi culturali a cui abbiamo accennato, ci sono i problemi individuali perché ognuno di noi ha la sua psicologia, ci sono i problemi di psicologia evolutiva perché ognuno di noi ha dentro un bambino, ognuno di noi ha dentro un vecchio… Ragionamenti di questo genere vanno molto bene quando si fanno i corsi di bioetica all'università, vanno molto male quando dovete dire a due genitori che il figlio è morto in motocicletta…, non sono discorsi da fare lì, ma a quel livello lì non ci sono discorsi da fare: si tratta solo di vedere se c'è una disponibilità di base o se non c'è. I discorsi vanno fatti a monte, in questa situazione e a livello politico, in modo da preparare una situazione per cui oggi, lo vedete, molti genitori a cui muore un bambino o un giovane sono disposti a dire: "Mio figlio continuerà a vivere". E non è soltanto sentimentalismo è che siamo riusciti a mettere dentro qualche cosa nella nostra vita.

Un ultimo richiamo così, tanto per finire. Sapete, nella retorica più che sapere cosa dire, bisogna cominciare bene e finire bene. Poi in mezzo… non è molto importante!

Il finale sarebbe questo: I più bravi si iscrivono all'AIDO, quelli meno bravi portino in tasca almeno il tesserino blu; quelli cattivi cattivi come me, andiamo a donare un pò di sangue! Ce n'è veramente tanto bisogno. Questo sarebbe il finale retorico, purché penso che in gran parte sia condiviso da voi in sala.

 

DOMANDE

La Chiesa è estremamente dura a volte, rigida nel suo insegnamento, non è indulgente. Se c'è da promuovere una tesi che comporta sacrificio al singolo, che incide sulla parte egoistica di ciascuno di noi, è evidente che la Chiesa lo fa, non ha problemi a farlo. Allora io non riesco bene a capire perché in questo caso invece ci sia una sorta di tendenza a indulgere nei confronti di un egoismo palese, che non è un egoismo rivolto nei confronti di ciascuno di noi perché i trapianti interessano soprattutto a coloro che sono passati a miglior vita. Perciò non è l'egoismo mio, è l'egoismo dei miei congiunti, di coloro che io lascio sulla terra, i quali preferiscono evidentemente fare in modo che, il mio corpo, i miei organi servano di più ai piccoli vermi piuttosto che essere trasferiti su un corpo umano il quale avrebbe anche esso diritto di sopravvivere se gli fosse concesso. Esistono evidentemente due possibilità: una quella del trapianto da vivo su vivo, e qua evidentemente può esserci un problema di carattere morale. Dico, è di interesse personale perché entrano in gioco una serie di considerazioni che qualcuno fa in maniera più larga, altri in maniera più rigida, nel senso che, se ci sono dei problemi che comportano una mia deficienza di lavoro, e quindi un problema che interessa la mia famiglia e i miei figli nel caso in cui io dia un organo, questo può comportare dei problemi. Ma i problemi, assolutamente non esistono nel momento in cui io divento un cadavere. Allora i problemi non riguardano più me, ma i miei familiari e questo non mi sembra una cosa corretta perché, se un cristiano è veramente tale, non può pensare che era un grand'uomo S. Martino il quale dava mezzo del suo mantello (mezzo del suo mantello era un problema di freddo); qua si tratta di qualcosa di molto più profondo, di qualcosa di molto più pregnante, di qualcosa che ci fa assomigliare molto di più a un uomo che 2000 anni fa ha compiuto una specie di trapianto. Esisteva una massa di uomini, la generalità degli uomini che vivevano sulla terra stava morendo, spiritualmente stava morendo. Quest'uomo ha accettato di sacrificare tutto sé stesso, non sotto anestesia, ma assolutamente vivo, cosciente, pieno di dolore fisico e morale per fare in maniera tale che il suo spirito venisse trasferito, quindi trapiantato di fatto in ciascuno di noi. Se noi crediamo veramente in quest'uomo a cui facciamo riferimento da tutti i punti di vista, non riesco a capire perché bisogna arrampicarsi sugli specchi invece di dire chiaramente in maniera dura, e violenta anche, se vogliamo: "Cari amici quando un vostro congiunto muore voi non avete più il diritto di disporre del suo corpo, avete solamente il dovere di far sì che le parti del suo corpo che possano essere utilizzate, prima che vengano mangiate dai vermi, prima che siano consunte dal fuoco, vadano ad aiutare altre persone che hanno grosse necessità di questo tipo" (Grazie).

 

Io mi ponevo semplicemente questo problema, se nel momento del travaglio, in cui uno è morto, quindi la scienza ha appurato che è morto poiché il cervello ormai non dà più segnali di vita elettrica, in quel momento questa persona (comunque in questo travaglio) non stia subendo un processo che noi non conosciamo perché non lo vediamo. Se l'anima (se possiamo definirla così) in quel momento sta cercando di raccogliere in sé delle energie e delle informazioni che gli possono essere utili nel suo passaggio e noi non sappiamo neanche se il fatto che un espianto possa creare dei problemi all'anima nel momento in cui sta facendo questo passaggio delicatissimo. Il mio è solamente un dubbio (Grazie).

 

Volevo porre una questione che è una critica che si fa spesso alla donazione degli organi soprattutto nell'ambito medico. Il dono di un organo non è un dono completamente gratuito soprattutto per la società nel senso che ci sono dei costi in risorse, mezzi e denaro per consentire l'espianto e il trapianto di un organo. Spesso si dice che questi costi sono sproporzionali per salvare una sola vita umana e potrebbero essere usati per la prevenzione o per la cura di malattie più diffuse. Io non sono completamente d'accordo, però è comunque una questione etica se vale più la vita di una persona o la vita di cento persone (Grazie).

 

RISPOSTE

Riguardo il primo intervento io sono d'accordo che, si potrebbe o si deve, rinforzare questo richiamo al dono, però è sempre un richiamo alla generosità, non può essere un richiamo come al dovere di pagare le tasse. Sono d'accordo con lei che potremmo sottolineare maggiormente le necessità di essere più generosi. Tenga però presente che il ragionamento che fa lei e che io condivido, è un ragionamento, ma le nostre azioni, il nostro comportamento sono guidati da due motivi: uno è il modo di ragionare (e lei sa che anche noi ragioniamo secondo la nostra maturità umana), l'altro sono i nostri affetti. È perché la psiche umana è molto complessa, pochissime persone sono realmente mature psicologicamente senza considerare se sono sante e buone. Sono rarissime le persone che arrivano ad avere un equilibrio psichico, quindi penso che, in questo caso non si possa imporre alla gente un'obbligo che non è in grado di cogliere. Perché noi siamo tutti dei bambini. Io non riesco a capire di avere sessant'anni, quando io rifletto dentro, mi accorgo che ci sono delle cose infantili come uno se mettesse il dito in bocca psicologicamente. Uno ad es. pensa al proprio padre, come se avesse ancora bisogno di lui. Queste sono cose molto importanti a livello del comportamento, ne tengono conto in economia, figuriamoci se non ne teniamo conto qui. Sono d'accordo con lei che oggi la generosità sociale non consiste soltanto nell'aiutare il terzo mondo.

 

Quello dell'anima e il cervello è un grosso problema; chi di noi, si ricorda ancora la ghiandola pituitaria di Cartesio? Io penso che il ragionamento è un pò inficiato; non si può dire "Ma non si può escludere che …" perché in questo modo non concluderemo mai nulla. Vi ricordate quando c'era la cura di Bella? "Non si può escludere che faccia bene". Un famoso oncologo milanese rispose: "Succhiando una matita, potrebbe anche far bene". Mentre se vogliamo andare più al concreto penso che la morte del cervello fa proprio parte di quest'idea, come dire, "scalare" di morte, il tessuto, l'organo che muore. Però il cervello è un organo molto particolare, che noi non riusciamo ancora a vicariare bene ma in teoria si potrebbe. Cioè in teoria si potrebbe tagliarne uno e vicariare tutte le funzioni del corpo e far funzionare il cervello; ci sono degli Stati che ci stanno provando. Il cervello ha una funzione non solo di coordinamento, ma di stimolo di tutto, quando non c'è più questo coordinamento, per quello che noi riusciamo a capire, non c'è più l'organismo e quindi si dice "è morto l'organismo", e se qualche organo può sopravvivere per intervento esterno è appunto per intervento esterno. D'altra parte lo sapete che quando nel reparto intensivo si dice "Beh, ormai sta per morire" e si stacca tutto e la persona continua a vivere per un pò, è una cosa che fa impressione a tutti. Anche all'infermiere che è lì da vent'anni fa impressione, però ad un certo punto il malato muore perché il suo cervello a diversi livelli non è più in grado di mantenere il coordinamento e noi oggi non possiamo pensare l'organismo umano se non in coordinamento: se non c'è più il coordinamento, la persona è morta.

 

Il terzo problema che è stato posto è un problema molto serio, materialmente, cioè se i costi sociali per lo sviluppo dei trapianti non sono troppo alti. Io sono molto amico di uno storico delle scienze francese il quale ogni volta che gli si pone un problema risponde sempre: si e no! Ci sono due aspetti. Da una parte certamente, a livello di politica sanitaria, è molto difficile l'allocazione delle risorse perché con le risorse impiegate in un centro di trapianto si potrebbero fare molte cose. Questo vale anche per la terapia intensiva e per tante altre cose. Quindi da un certo punto di vista penso che chi è responsabile della politica sanitaria non può esagerare sulla cosiddetta medicina avanzata, perché assorbe realmente molte risorse tecnologiche, economiche, umane. D'altra parte però sappiamo che queste forme più avanzate hanno una ricaduta notevole in tutto il resto. Perché dopo diventano di routine, si imparano molte tecniche, si fanno nuove scoperte e quindi poi diventa un qualche cosa di comune. Ricordiamo tutti quando dieci anni fa ci spiegarono cos'era una TAC: sembrava una cosa pazzesca. Ricordo che a Pavia, in una zona molto ben servita, era soltanto la Clinica del lavoro che l'aveva, ma non il Policlinico universitario. Oggi è una cosa che non dico che c'è nei piccoli ospedali di provincia, ma quasi. Queste forme di ricerca di novità hanno una ricaduta notevole. Io non so come si fa ad equilibrarle, non è compito mio, è un fatto di politica sanitaria nel senso forte del termine. Ci sono molte spinte da una parte e dall'altra però mi sembra che sia valido, che sia lecito se ricade in qualche modo. Domenica scorsa ero in un gruppo dove abbiamo parlato di bioetica e alla fine è saltato fuori, non me l'aspettavo, perché è un gruppo molto tranquillo, un sessantottino riciclato che mi aveva rinfacciato di dire che gli operatori, in economia sanitaria, hanno degli interessi non solo economici, ma hanno interessi di carriera, di affermazione professionale, mentre questo è moralmente inaccettabile. Ci ho ripensato dopo, ed ho concluso che questo è un pensiero utopico, perché se nella ricerca medica si guardasse soltanto alla generosità, sarebbero pochi a fare la ricerca medica. Certamente bisogna equilibrare le cose, però complessivamente noi traiamo vantaggio da questi difetti comuni che abbiamo tutti di volere emergere, di volere dialogare, di volere far carriera; il problema è bilanciarli, ma tutta la vita è un problema di bilanciamento. L'importante sempre è avere qualche buon principio interiorizzato che ci aiuta a lavorare. Io sono molto ben disposto verso tutti quelli che lavorano in trapianti di organo, come verso quelli che lavorano in stazioni intensive, in reparti oncologici; ho una grande ammirazione perché penso che hanno una carica di umanità notevole anche magari se non si vede sempre. Perché tutte le professioni di servizio sono un pò così, varie professioni sanitarie se non c'è un pò di cuore non funzionano neanche tecnicamente. Il nostro medico quando c'incontra cerca di ispirarci fiducia e se noi non abbiamo fiducia, non funziona. Per cui direi che tutto questo mondo dei trapianti va visto, come dire, con grande spirito simpatia e di benevolenza, altrimenti non parte. Ma ci sono tante cose nella nostra vita che se non avessimo condiscendenza, compartecipazione, non funzionerebbero. Neanche venire qui questa sera, se noi avessimo un pò di buona volontà.