dodicesimo invio
Missioni

Venerdì 9 aprile
Hola, eccomi con queste nuove notizie nell’intento di raccontarvi gli ultimi fatti relativi a due aldee che mi sono rimaste molto impresse: la prima quella di San Lucas e poi quella di Nuevo Progreso.
Queste due aldee, tra le tante visitate con P. Ottavio e P. Alberto nella settimana Santa, hanno, secondo me, caratteristiche comuni che le distinguono dalle altre. Tutte hanno in comune aspetti simili come povertà, bambini, capanne, animali e giungla.
San Lucas e Nuevo Progreso invece, si evidenziano per la comune “tristezza”...
Mercoledì 31 marzo
Quando si arriva a San Lucas, non si vedono spazi ampi dove far correre lo sguardo e vedere bambini che giocano. Qui le capanne si incontrano all’ultimo momento, non sono tante, molte nel fitto della giungla, alcune tutte intorno o nelle vicinanze della Chiesa. San Lucas è l’ultima aldea che si incontra nel territorio di Dolores. Anche la strada per arrivare è triste: oltre alle solite buche, pietre che come sempre mettono a dura prova le ossa di coloro che viaggiano in macchina, anche il paesaggio tutto intorno è triste.

Intere colline private di ciò che prima era una vegetazione verde e lussureggiante per lasciare spazio a pascoli per mandrie di vacche tra l’altro magrissime perché si alimentano solo di erba. Anche questo è un aspetto critico della situazione economica della zona. I proprietari delle mandrie non sono i campesinos che abitano la zona, ma sono allevatori che vivono a Città del Guatemala, che non si fanno mai vedere e che non sanno neppure dove si trovano i loro animali. Spesso pagano gli indigeni offrendo loro solo la possibilità di occupare il posto per viverci e a volte con pochi quetzales. Poco per volta si sta distruggendo un polmone verde vitale per la zona, per l’intera economia e sicuramente anche per l’umanità. Mentre faccio queste riflessioni, imbocchiamo la discesa finale che porta a San Lucas.

Subito c’è la svolta in salita che porta alla chiesa ma, appena voltato, sulla destra c’è una capanna all’esterno della quale c’è un signore, sdraiato su un’amaca: ha una gamba coperta con uno straccio che forse è arrivato al limite dello sporco. Incuriosito chiedo a P. Ottavio notizie; risponde dicendomi che quel signore ha una gamba che gli sta andando in cancrena e che gli hanno proposto di amputargliela ma lui non ha voluto. Arriviamo davanti alla chiesa, scendiamo e subito dei ragazzini si avvicinano perché vogliono salire sulla palangana della macchina. Ridiscendo verso la capanna in cui c’era quel signore, vorrei fargli una foto, non lo trovo ma incontro una signora che penso sia la moglie, le chiedo se può chiamare il marito e subito dopo il signore esce dalla capanna con dei bastoni che fungono da stampelle. Noto con piacere che adesso non c’è più lo straccio con cui si copriva, ma ne ha un altro appena più decente. Se lo è avvolto intorno alla gamba. Da vicino è peggio di come mi era sembrato prima; ho una sensazione strana, vorrei tornare subito indietro ma ora ho “costretto” il signore ad uscire dalla capanna e devo fargli la foto. Ne faccio un paio, nel frattempo gli chiedo come si sente e mi risponde che soffre moltissimo a causa della gamba in quelle condizioni. Evito ulteriori approfondimenti soprattutto per rispetto alla persona. Ringrazio per la disponibilità, saluto e subito ritorno sui miei passi.

Nel frattempo vicino alla chiesa e alla macchina di Ottavio i bambini e le bambine sono aumentati, Franca e Alberta che mi hanno accompagnato sono indaffarate a tenere a bada i bambini, ne conto almeno una ventina, sono molto vivaci, portano indosso degli indumenti che tutto sommato potrebbero ancora essere definiti tali. Provo a fare qualche fotografia ma i bambini fuggono. Poco per volta riesco a scattare una foto ad un bambino mostrandogli subito il risultato. La mia disponibilità lo incuriosisce e anche gli altri si avvicinano: in questo modo mi conquisto la loro fiducia e da quel momento diventa anche difficile riuscire a smettere di fotografare perché arrivano da tutte le parti e vorrebbero farsi immortalare ognuno con suo fratello, sua sorella, suo cugino, il suo amico…

San Lucas è diversa dalle altre aldee anche nella chiesa. Questa è fatta di fango a differenza delle altre che sono fatte con assi di legno, dove l’aria, gli insetti qualche animaletto e…. qualche serpentello può circolare liberamente.
A rigor di logica dovrebbe essere migliore di tutte le altre perché più solida ma non è così. All’interno è molto angusta, ha solo delle piccole aperture che fungono da finestre che consentono di “arieggiare” l’ambiente. La porta d’ingresso è piccola. All’interno le panche dove potersi sedere occupano tutto lo spazio disponibile. L’altare è costituito da un tavolino predisposto per l’occasione; dei drappi di carta colorata, posti vicino ad una nicchia fatta con assi di legno al cui interno si trova una statua in gesso, creano una nota di allegria. E’ l’unica…
San Lucas è il villaggio dove vivono i genitori e i fratelli di Alfredo, uno dei ragazzi che P. Giorgio ha fatto venire in Italia per studiare all’Università di Sassari.
P. Ottavio inizia a confessare subito dopo i primi rintocchi della “campana”. Come sempre e come in tutte le aldee, altra caratteristica comune, la campana della chiesa: un pezzo di ferro appeso ad un albero, che una volta doveva essere parte di un cingolo di un mezzo meccanico. Pochi attimi prima che la Messa inizi, arriva una signora che Ottavio mi dice essere la madre di Alfredo. Mi presento e le dico nel mio stentato spagnolo che le porto i saluti del figlio. Le chiedo di fare con me una foto ma la vedo molto riluttante, le dico che desidero portarla al figlio e solo allora acconsente. Subito dopo chiede con insistenza di fare una foto anche con Alberta forse scambiandola per Rita…..E’ subito accontentata. La Messa inizia, manca la luce, fuori è buio e all’interno le due piccole candele ai bordi dell’altare sono l’unica fonte di luce. Anche l’anno scorso la situazione era la stessa, nulla é cambiato, neppure un piccolo gruppo elettrogeno per produrre l’energia sufficiente a dare un poco di illuminazione durante la celebrazione. Alle piccole finestre si scorgono i visi di ragazzi che preferiscono quella posizione a quella all’interno della chiesa. Cerco di fare una foto, mi piacerebbe, ma i ragazzi appena si accorgono che li sto inquadrando, si abbassano velocissimi….
Intanto i suonatori noncuranti del fatto che sia tutto buio, accompagnano i canti eseguiti a squarciagola da alcune ragazze. Al termine della cerimonia P. Ottavio annuncia che “los Italianos” hanno portato “un dulcito” per i bambini. A tutti viene consegnata almeno una caramella. Anche i grandi ne hanno una, visto che le caramelle sono più dei bambini presenti. Dopo aver salutato tutti, mi avvicino a salutare la madre di Alfredo che mi presenta il marito. Avevo notato quel signore fin dall’inizio della Messa, era seduto esattamente dietro di noi e non ho capito come mai ci sia stato presentato solo alla fine della celebrazione. Misteri del Guatemala….
E’ una notte bellissima, sembra quasi di poter toccare le stelle. P. Ottavio si ferma, spegne il motore e ci consente di ammirare un cielo incredibile tante sono le stelle che si guardano..
Il giovedì 1 aprilesempre al mattino sveglia presto, colazione e partenza per altre aldee. Oggi con p. Ottavio andiamo a Nuevo Progreso. Il nome di questo villaggio fa ben sperare almeno per il nome. La sensazione che si ha nel sentire il nome è di un posto bello, dove tutto funziona bene e la gente è contenta di vivere lì. La strada è sempre la stessa e mentre andiamo Ottavio ci racconta la storia di questa aldea. E’ una storia triste, totalmente in contrasto con il nome del villaggio. Appena un anno fa in quel posto ad opera di un gruppo di scalmanati campesinos viene trucidata un’intera famiglia, solo uno si è salvato perché è riuscito a scappare. Il motivo di tanta efferatezza risiedeva sul fatto che si pensasse che il capo famiglia, che era un incaricato governativo per la ripartizione dei terreni, non fosse imparziale nello svolgimento del proprio compito. Un gesto che ha portato questa comunità nella disgregazione più completa. Arrivando la prima costruzione che si incontra è proprio la chiesa. P. Ottavio ci comunica che sicuramente per la Messa ci saranno poche persone. Ai lati della strada, alberi e vegetazione distrutta, tutto secco e bruciato, una desolazione che pare essere perfettamente in tema con quanto P. Ottavio ci sta raccontando.

Una persona ci viene incontro: è il catechista pertanto con lui siamo in cinque. Roberto, Ramon un ragazzo che ci accompagna perché il pomeriggio si dovrà andare a San Marcos, l’aldea dove lui abita, P. Ottavio e io. Vedo la preoccupazione nello sguardo di p. Ottavio e di lì a poco infatti mi chiede se sono disponibile nel corso della celebrazione della Messa a fare una lettura. Per me si tratta di una cosa completamente nuova non mi è mai capitato di leggere “pubblicamente” in spagnolo e per di più nel corso di una celebrazione religiosa. Prima di celebrare P. Ottavio propone di provare ad aspettare un pochino nella speranza che qualcuno si faccia vedere. Al momento continuiamo ad essere soli all’interno della chiesa e al di fuori, dei ragazzini, forse attirati dal fatto che è arrivata una macchina, giocano e fanno baccano incuranti del fatto che di li a poco inizierà una celebrazione. La Messa inizia, oltre a noi cinque per fortuna sono arrivati anche i familiari del catechista, e con loro arriviamo a dieci.
Al momento della prima lettura, P. Ottavio mi fa un cenno e per me è una vera emozione. Leggo tranquillamente cercando anche di indovinare la pronuncia e cercando di dare un senso compiuto a ciò che leggo. Quando finisco torno al mio posto e Roberto sottovoce si complimenta per la riuscita dell’operazione. P. Ottavio non può dare corso alla lavanda dei piedi perché siamo meno di 12…

Al termine della Messa si va a pranzo. Il catechista ci informa che c’è da camminare un pochino. Non ci sono problemi anche perché questi giorni di camminate ne abbiamo fatte parecchie. Mentre ci avviamo P. Ottavio ci comunica che chi ci offre il pranzo è la moglie di uno implicato nella strage cui ho accennato prima e che si trova in carcere. Il pranzo è un piatto con del riso e un passato di fagioli. Come sempre non mangio, in compenso questa volta Roberto è entusiasta del menù perché in un battibaleno riesce a mangiare tutto. Alla fine del pranzo mentre stiamo per andare via P. Ottavio mi fa cenno di lasciarlo solo perché la signora che ci ha offerto il pranzo vuole parlare privatamente con lui. Con il maestro ci allontaniamo ripercorrendo al contrario la strada. Dopo poco P. Ottavio ci raggiunge e tutti insieme ci avviamo alla macchina per rientrare e andare a San Marcos. La strada viene percorsa interamente in silenzio, ogni tanto scatto delle foto a paesaggi che mi attraggono e così arriviamo alla macchina. Fino ad allora silenzio, nessuno parla. In macchina appena si parte P. Ottavio ci racconta che la signora ha voluto parlare con lui affinché possa intercedere in favore del marito presso i giudici che lo hanno condannato per la strage perpetrata un anno fa. La strada del ritorno ci ripropone il quadro desolante delle colline, prive di alberi e vegetazione. Il paesaggio è sempre più triste ….
Arriviamo a Las Brisas dove ci aspetta p. Alberto con gli altri. Prossima tappa San Marcos per me Rita e Franca,  Esmeralda per P. Alberto, Roberto e Alberta…
Altre notizie prossimamente. Seguiteci…
Francisco

 

Mercoledì 7 aprile
Holà amigos, siamo Rita e Franca. Oggi saremmo dovuti andare a Livingston sull’Atlantico, ma Romeo ha avuto un contrattempo. Partiremo domani. Approfittiamo di questi giorni di calma per rimettere un po’ a posto le idee e le ossa… Giovedì 1 aprile (del pesce d’aprile pare non se ne sia accorto nessuno perché quaggiù si perde anche la cognizione del tempo) nelle diverse aldee abbiamo celebrato il rito del giovedì santo.
La mattina sveglia molto presto perché i posti da raggiungere sono lontani, e pranzo al sacco. In palangana carichiamo i due catechisti che ci hanno seguito in tutta questa settimana: Dariel e Mesiel, Ramon – un ragazzo della sesta classe della scuola di P. Giorgio –, dei giovani che devono raggiungere le loro aldee con immagini sacre acquistate per l’occasione e lungo strada Betty, la catechista di Sacùl Abajo che era già stata nostra compagna di viaggio in diverse circostanze.
La palangana è piena anche perhé lungo strada la gente continua a chiedere passaggi e P. Ottavio non sa dire di no… Di conseguenza il viaggio è alquanto scomodo e sconquassante alla ricerca di punti di appoggio e cercando di evitare di sbattere continuamente sui supporti metallici (la sera ci scopriremo i fianchi blu dai lividi, ma al momento non sentiamo più di tanto).

Las Brisas      
 

Dopo un viaggio di quasi due ore, ripercorrendo spesso le stesse “strade”, arriviamo a Las Brisas (Le brine). Lungo strada incontriamo un paesaggio quasi lunare: colline completamente spoglie, là dove c’era jungla, gli alberi sono stati tagliati per far posto ai pascoli per il bestiame e i “ganaderos” (allevatori) con le buone o con le cattive fanno sloggiare i contadini sottraendo loro la terra. Si vedono solo fusti di alberi tagliati o inceneriti e al pascolo vacche magre. In contrapposizione, al di là della strada, spesso campeggia un cartello del Ministero dell’ambiente che ripropone il rimboschimento… Beata coerenza!
Lasciando a sinistra “Los Limones” e attraversando “Esmeralda” si arriva “Las Brisas“. Queste due ultime aldee hanno una conformazione molto differente rispetto alle altre che ho visitato.
Sembra quasi venga applicato un piano urbanistico: le strade belle larghe, si intersecano formando i rioni; le pareti delle case sono fatte con assi di legno, ma queste sono tagliate in modo più regolare e le fessure sono meno evidenti; spesso il pavimento, sempre in legno, è sollevato da terra dando così l’impressione di maggior pulizia e decoro. I giardini hanno tutti una recinzione di filo spinato, sono per la maggior parte ordinati con gli animali da cortile che pascolano, ma non entrano in casa. Lungo le strade si incontrano “tiendas” - i negozi – nei quali non si vendono solamente alimentari o generi di prima necessità come nelle altre aldee, ma anche qualche “tipico o artesanias” (artigianato) e prodotti locali. Masiel – la nostra catechista accompagnatrice – ci spiega che a oltre 3 ore di cammino c’è il confine con il Belize. Ci spieghiamo allora tante cose e piano piano, anche se nelle piccole cose, ci accorgiamo dei cambiamenti… Passeggiando in attesa della Messa – P. Alberto sta confessando – con Alberta, Franca e Masiel facciamo un giretto e vediamo diverse casette organizzate come “chalet”: ad una signora che sta spazzando l’aia della sua abitazione chiediamo di entrare e così possiamo vedere tre ambienti comunicanti tra di loro: due camere da letto con i letti e materassi normali, a fianco la cucina. Tutto in perfetto ordine e pulizia: non hanno l’acqua in casa, ma le pentole sono ben allineate ed appese lungo le pareti della cucina e sono anche belle lucide. Dopo esserci complimentati con la signora, torniamo sui nostri passi e Masiel ci spiega che quello è un rione evangelico: scopriamo così che la globalizzazione ha portato in questa aldea la suddivisione delle persone in base al credo religioso.
Il sole picchia forte, i ripari sono pochi perché mancano gli alberi, tagliati per far posto alle case e così ci accorgiamo che tutto sommato il disordine delle altre aldee, le case fatte senza nessun criterio hanno il loro senso perché comunque assicurano un ambiente più naturale. L’uomo in tante piccole cose non riesce a trovare mai la mezza misura.
Al rientro dalla nostra passeggiata vediamo dei bambini che giocano con una macchina gialla e blu: è quella che è arrivata dall’Italia con il container. Troviamo P. Alberto sempre impegnato nelle Confessioni – che dureranno altre 2 ore - ed il catechista che assieme ad altri 20 uomini fa parte del progetto “canna da zucchero”. Questo progetto è appoggiato dai nostri Padri: non molto lontano da qui è stata piantata la canna da zucchero che a tempo debito – dopo circa un anno – viene tagliata e dalla quale poi si estrae il succo che, raffinato, produce la “panela” (il panetto) di zucchero di canna.
Dopo la Messa, e quando fossero tornati gli altri misioneros (Francisco con Roberto e P. Ottavio) dall’aldea Nuevo Progreso, saremo andati tutti quanti a vedere questa insediamento agricolo costituito da una cooperativa di venti famiglie che traggono benefici da questa iniziativa.

las brisas

caña de azucar

     

Dopo la Messa celebrata in una piccola chiesa gremita da tantissima gente, durante la quale si è rinnovato il gesto di umiltà e di servizio di Gesù verso il prossimo, e dopo aver consumato un “caldo” a casa del catechista, andiamo alla piantagione di caña (canna da zucchero). Il caldo è asfissiante e il sole abbagliante, ma la palangana del carro di P. Ottavio è carica di familiari dei lavoratori della piantagione. Abbandonata la strada sterrata, attraversiamo una vegetazione bassa ma folta e rigogliosa prima di arrivare a destinazione; dopo un breve percorso a piedi (io ho una paura tremenda !!!) arriviamo sul posto. Ascoltiamo le spiegazioni degli addetti ai lavori: sotto il sole, bene avvolto in un celophan, c’è un torchio; sotto una champa, poggiato per terra, un palo di legno ben squadrato lungo almeno 5 metri. Quest’ultimo deve essere inserito, tramite un foro, su un perno del torchio e fuoriuscire per metà dall’altra parte. Nel frattempo alcuni uomini vanno a tagliare della canna per farci vedere l’intero procedimento. Al loro rientro, tutto è pronto per la dimostrazione, una canna viene inserita in un foro predisposto per la spremitura che è posto esattamente sotto a dove è alloggiato il palo, alle cui estremità si posizionano tre uomini (mi ci metto anch’io) e cominciano a ruotare in tondo. Vi ricordate il lavoro che facevano gli schiavi in antichità al tempo dei faraoni o più recentemente i buoi per macinare il grano o l’olio alla macina? Ecco questa gente lavora così tutto il giorno, dandosi il cambio frequentemente perché tra sole e posizione assunta il lavoro è massacrante. Io ho aiutato a macinare 3 canne – forse per 5 minuti - e non ne potevo più…..immaginate tutto il giorno. Il succo prodotto viene messo poi in un pentolone di circa 200 litri che viene messo sul fuoco e fatto bollire per farlo raffinare. Il liquido così ristretto – dopo ore di cottura – viene versato in formelle quadrate (tipo quelle dei lingotti, solo più grandi) e fatto raffreddare. “Pitticcu su traballu” (piccolino il lavoro !!!). Con Francisco chiediamo perché non comprano un motore per il torchio (pensiamo magari di contribuire visto che l’iniziativa è buona e sana) e magari anche un argano per sollevare il pentolone. Indovinate cosa ci rispondono? Se comprano il motore producono il succo troppo in fretta e il pentolone non basta più e bisogna comperarne un altro; inoltre bisognerebbe predisporre un altro fuoco e, poiché quel terreno non è loro e devono spostarsi in un “lugar” (posto) più vicino al paese, non c’è convenienza a predisporre un altro forno. Rimaniamo un po’ basiti, comunque apprezziamo quello che hanno fatto fino ad ora e li incoraggiamo a realizzare il loro progetto di ingrandimento perché così potranno produrre una maggiore quantità di zucchero di canna che potrà essere rivenduta a vantaggio della loro comunità. P. Ottavio inoltre ci informa che la difficoltà maggiore è quella di mantenere queste persone a contatto con la terra per coltivarla e di conservarne la proprietà: molti hanno ceduto i loro poderi ai “ganaderos” in cambio di pochi soldi o dietro minacce anche di morte.

san Marcos
 

Di pomeriggio (Giovedì 1 aprile) con P. Ottavio, Francisco, Franca e Ramon – uno studente della scuola di P. Giorgio - andiamo all’aldea di San Marcos, non prima di aver lasciato P. Alberto, Roberto, Alberta e Masiel all’aldea di Esmeralda molto simile per costruzione a Las Brisas.
Ramon è contento di arrivare a San Marcos perché là vive la sua famiglia che vede solo un paio di volte l’anno (è un ragazzo molto bisognoso che viene aiutato negli studi da P. Giorgio, ha altri 11 fratelli, la più piccola dei quali ha solo pochi mesi). Ci accompagna a casa sua ma di questo incontro vuole parlarVi Francisco perché per noi tre è stato un incontro molto particolare e sconcertante. La miseria, soprattutto quella non materiale, si toccava con mano…
Per rinfrancarci un po’ andiamo in chiesa dove troviamo P. Ottavio che sta intrattenendo due coppie di futuri sposi accompagnati dai genitori e dai testimoni per le pubblicazioni e per stabilire la data del matrimonio. Mentre stiamo ripensando a Ramon ci viene incontro Don Domingo, un signore molto ordinato e con un bellissimo sorriso: è il papà di Marcos, un giovane studente della scuola di San Martin de Porres, diventato al termine degli studi il braccio destro di P. Giorgio. Questo signore ci intrattiene come se ci avesse lasciati il giorno prima e ci invita nella sua casa dove troviamo il figlio Marcos che si sta preparando per la Messa. Al rientro passiamo per Esmeralda e ripeschiamo P. Alberto, Roberto e Alberta e tutti insieme “assaporiamo” un meraviglioso cielo stellato: Roberto diventa poeta…

via Crucis
 

Il giorno dopo, Venerdì santo 2 aprile, grandissima attività anche qui a Dolores. P. Alberto e P. Ottavio vanno per Aldee, noi restiamo a casa.
La mattina dalle 9,00 alle 11,30/12,00 viene rappresentata la Via Crucis “in vivo” lungo le vie del paese: un signore impersona Cristo, altri due i ladroni (di cui uno è un ragazzino che solitamente serve Messa: Victor) altri 12 i discepoli, una decina i soldati romani, delle ragazze la Madonna accompagnata dalle pie donne ecc. I vestiti sono realizzati improvvisando (li vedrete nelle fotografie): vengono utilizzate così le scope per cimieri, i colapasta rovesciati e caschi per moto come elmi, i sandali – alla schiava - delle mogli come calzature, etc. Il bello di tutto ciò è che i personaggi si calano veramente nella parte, assumendo atteggiamenti, espressioni e comportamenti particolarmente “sentiti” e coinvolgenti. A parte Gesù che sembra un attore nato tanto è reale nelle espressioni di sofferenza, gli altri – chierichetti, sagrestani, gente comune – sono improvvisati, ma non meno realistici. Lungo il percorso alcuni ragazzini portano dei secchielli che contengono un liquido rosso (anilina) e dove i soldati “bagnano” le fruste (stracci o pezzi di cartone); gli sputi sono veri e non vengono lesinati ed i colpi di frusta per lo più vanno a finire sulle croci di Gesù e dei ladroni; ma alla fine della rappresentazione con Franca e Alberta notiamo schiene particolarmente arrossate (non solo per il liquido) e bozzi sulle teste, segno evidente che non tutto tutto è finzione. Ci domandiamo anche se in tutto ciò ci sia pure il desiderio da parte di qualche figurante di saldare qualche conticino… Franca, Roberto e Francesco (appollaiato sulla macchina che precede la processione sparando musiche da morto a tutto volume) fanno un eccellente servizio fotografico che si ripromettono di mostrare agli attori alla prima occasione.

Via Crucis

Un po’ frastornati e molto coinvolti torniamo a casa perché la giornata è molto intensa; da li a poco saremmo dovuti ritornare in chiesa per la deposizione dalla croce, ma quando arriviamo è già tutto finito perché hanno deciso di anticipare i tempi. Alle 15,00 andiamo in Chiesa per l’adorazione della croce: il Gesù, un manufatto snodabile di circa un metro e settanta, molto antico, è adagiato su una portantina coperta di veli bianchi e circondata da fiori di carta, a fianco la Madonna addolorata anche lei su una portantina. La giornata sarà ancora molto lunga e pertanto torniamo a casa.

L'alfombra      
     

In effetti le signore della parrocchia ci avevano “invitate” (dietro offerta) a portare la Madonna nella processione serale e ci avevano detto che il nostro “turno” sarebbe iniziato alle 22,00 circa. Tutti i Padri e Francisco a questa notizia hanno sorriso con molta “benevolenza”: sapevamo cosa ci aspettava e molto serenamente ci hanno detto che “forse” il nostro turno sarebbe iniziato intorno a mezzanotte. Personalmente volevo fare anche questa esperienza e Chepe – il mio carissimo compagno di viaggio dello scorso anno – sa cosa voglio dire.

cargadores      

La processione si snoda per le vie cittadine: inizia alle 18,00 e le portantine del Gesù morto (otto uomini) e della Madonna (6 donne) vengono portate a spalla. La cadenza del percorso è lentissima e dondolante (neanche mezzo passo alla volta): se le due portantine si avvicinano troppo, quella della Madonna, che segue, viene fatta retrocedere. Così il lavoro peggiore viene fatto dalle donne che, se è vero che sostengono la portantina più leggera, si accollano il doppio del lavoro. E non solo: poiché la processione è lunga e si snoda tra salite molto ripide, vengono fatti dei turni di “cargadores” (portatori) tra gli uomini e le donne, ma capita spesso, guarda caso, che non ci siano i cambi per gli uomini ed allora subentrano le donne. Con Franca avremmo dovuto fare l’ultimo pezzetto prima di ritornare in Chiesa, ma avendo dovuto sostituire alcune donne che avevano dovuto portare Gesù al posto degli uomini e non potevano essere impiegate nel loro turno, abbiamo fatto diversi turni di trasporto. Così abbiamo fatto la nostra esperienza de “cargadoras”. Abbiamo finito tutto alle 2,30 del mattino…

Los olivos veglia pasquale      

Sabato 3 aprile è stata una giornata tranquilla ed abbiamo organizzato la nostra partecipazione alla Veglia pasquale. Noi laici volevamo che i nostri Padri ci sentissero e Vi sentissero vicini e così ci siamo divisi. Françoise, che nel frattempo era tornata da Sant’Elèna per trascorrere la Pasqua con noi, ha accompagnato P.Alberto a Boca del Monte; Roberto, Alberta,

   

Franca e Francisco sono andati con P. Ottavio a Los Olivos, una aldea quecì; io ho accompagnato P. Giorgio in Parrocchia. La cerimonia è iniziata alle 21,00 e non è stata molto lunga perché, come dice P. Giorgio, quì la gente non ama le cose lunghe. Inoltre sono stata avvertita dei cambiamenti di programma per l’indomani: la processione dell’incontro, prevista alle 9,00, è stata anticipata alle ….5,30 del mattino. Non chiedeteci perché, anche questa è un’abitudine guatemalteca: cambiare le carte in tavola quando meno te lo aspetti! Alberta più volte ci ha posto dei “perché”: in situazioni che per noi dell’altro capo del mondo sembrano scontate, qui trovi una risposta che ti lascia basito ed incredulo. E’ la stessa espressione che spessissime volte abbiamo colto negli occhi di Roberto e Alberta, persone di una bontà talmente sconcertante e talmente tanto in buona fede da farti cadere le braccia.
La domenica di Pasqua 4 aprile eravamo tutti insieme a tavola, aspettavamo anche Mons. Fiandri che però ha dovuto disertare per stare vicino ad un suo carissimo amico di Città del Guatemala che l’indomani sarebbe dovuto essere operato al cuore.
Menù ???? Tutto sardo dalla salsiccia, al pecorino, ai malloreddus, gamberoni guatemaltechi ma conditi in umido con la nostra “piarra” (pomodoro secco), frutta locale e, alla fine, avevamo la colomba di Villacidro e gli ovetti di cioccolato portati dall’Italia da Alberta e le “papassine” fatta da Franca il giorno prima. Il tutto accompagnato da vino (cileno) e da mirto e limoncello sardo. Eravamo veramente sereni e contenti e, quando ormai per Voi era notte, abbiamo brindato alla nostra Amicizia. Per ora basta, la Settimana Santa è stata molto impegnativa, ma noi laici siamo stati molto contenti per le emozioni provate e per il sostegno morale che siamo riusciti a dare ai nostri Padri. Forse qualche piccola cosa siamo riusciti a realizzarla anche noi, sia in noi stessi che negli altri: la mia è una speranza.
Prossimamente Vi racconteremo le notizie dell’ultima ora. Hasta luego e besitos a todos.
Franca y Rita