30 aprile 2012 Francesco
Missioni

Hola soy Francisco e a fine giornata, piuttosto stanco, desidero aggiornarvi sugli ultimi avvenimenti.

Vi racconterò tutto come fosse una cronaca…a lieto fine.

Oggi è il 30 di aprile, è mattino presto, è ancora buio e nel mio orologio, con le cifre fluorescenti, riesco a leggere che sono appena le 5 del mattino. Non voglio alzarmi così presto e così continuo a rigirarmi nel letto. Non ho ancora capito perché da quando mi trovo in Guatemala, pur andando a dormire tardi - più o meno alla stessa ora in cui vado quando sono in Italia - mi sveglio prestissimo. Sarà l’aria, sarà il fuso orario che anche a distanza di tempo si fa sentire, comunque mi rifiuto di alzarmi così presto. Immerso in questi pensieri  arrivano le 6. Anche Rita si rigira nel letto ma si è imposta di non alzarsi prima delle sei e quando la sento balzare giù dal letto capisco che è arrivata l’ora… Io invece mi fermo nella mia “cuccia” e forse riesco anche a riaddormentarmi e forse anche a sognare. Si a sognare perché mi sembra un sogno il suono antipatico che sembra un urlo che mi riporta alla realtà. È il campanello della nostra casa: infastidito ma anche un po’ adirato, penso che, come altre volte, siano i bambini mattinieri e “rompiscatole” che vogliano importunare suonando il campanello.

Sento i passi svelti di Rita che si dirigono verso l’ingresso della casa per vedere chi ha suonato così presto il campanello. Sento nitido lo scatto della serratura del portoncino in ferro che introduce nella casa e immediatamente dopo un velocissimo confabulare,  la voce di Rita che, sorpresa, esclama:  è arrivato il container!!! Sento ma non ci credo – sto sognando?? – ma un attimo dopo mia moglie irrompe nella camera e senza tanti complimenti mi urla: Alzati è arrivato il container!!….. Aspettavo un motivo valido per alzarmi? Eccolo.  Mi alzo velocissimamente, mi infilo i pantaloncini corti e una maglietta, non perdo tempo neppure a lavarmi la faccia ed esco fuori con gli occhi ancora semichiusi. Sulla porta vedo un signore, accompagnato da ragazzino, che in spagnolo mi annuncia che il container è davanti alla casa. Strabuzzo gli occhi e lo vedo - il container proprio lì - grande e imponente così come lo avevo visto prima che partisse dall’Italia.. Riconosco le sigle.

In casa Barbara e Marcello sono ancora nelle loro rispettive camere ma al sentire il trambusto escono e anche loro increduli vedono il container. Ce lo siamo trovato davanti alla casa, nessuno ci aveva avvertiti. C’era in predicato la possibilità che andassi con Romeo a Puerto Barrio per cercare di capire da vicino quali potessero essere gli intoppi burocratici che impedivano il rilascio del container. Alcuni giorni prima avevo scritto una mail anche all’Ambasciatore d’Italia in Guatemala il quale per mezzo della sua segretaria mi aveva risposto prontamente comunicandomi che avrebbe contattato il Presidente Nazionale della Caritas per capire quali fossero i problemi.

In casa siamo solo quattro e da soli non possiamo vuotare il container. Arrivano più o meno le 7 ed è necessario organizzare tutte le operazioni di svuotamento container; chiamo al telefono p. Ottavio il quale mi risponde, dopo parecchi squilli, con la voce un po’ preoccupata chiedendomi cosa fosse successo. Lo tranquillizzo ma allo stesso tempo quasi gli urlo che il container è arrivato e che abbiamo bisogno di aiuto per scaricarlo e per sistemare le scatole dentro la casa. Non essendoci P. Giorgio, che è dovuto andare a Città del Guatemala per una riunione, gli chiedo se può andare al collegio e portarci alcuni studenti “volonterosi”.

Intanto Rita offre una colazione all’autista del “Trailer” ed al figlio. Successivamente anche noi quattro facciamo colazione ma ne frattempo torna alla mente un altro problema che ci assilla: da quattro giorni non ci danno l’’acqua e le scorte sono ridotte all’osso. Chiedo pertanto di utilizzare questo bene così prezioso con parsimonia facendo docce molto veloci. Sento il peso dello sguardo degli amici, ma se vogliamo avere la possibilità di utilizzare al meglio le esigue scorte bisogna agire in questo modo.

Nel frattempo arriva P. Ottavio con nove giovani studenti del collegio, accompagnati da Claver un ragazzo che si è diplomato lo scorso anno, che studia a Santa Elena e che, dopo l’incidente capitato in collegio lo scorso anno, sostituisce per la notte P. Giorgio quando questi è costretto ad assentarsi. Tutti i ragazzi hanno lo sguardo assonnato ma sorridono facendo buon viso a cattivo gioco.

Vista l’ora mattutina Rita chiede loro se hanno fatto colazione: un  “ululato” unanime – nouuuu – ci fa capire che sono tutti a digiuno. Rita organizza la colazione per i nuovi arrivati: questa volta mangeranno all’italiana con latte, biscotti, marmellata e frutta al posto dei soliti frijoles e tortillas e sinceramente non ci sembrano dispiaciuti.

Nel frattempo P. Ottavio ci comunica che deve andare a Santa Elena per una riunione della Pastorale Sociale e con lui andrà anche Albaceli che si fermerà per alcuni giorni presso il convento delle suore domenicane di Santa Elèna dove ci sono le bambine. Di Albaceli e delle bambine vi parlerò in un prossimo diario. Il nostro Padre non vuole però andare via senza assistere all’apertura del container. Mettiamo un po’ di fretta ai ragazzi, che ci sembrano soddisfatti e, prima di iniziare il lavoro duro, scambiamo alcune battute che mettono tutti di buon umore. Noi quattro Misioneros o, come direbbe Rita Moschettieri, siamo ancora increduli ed è ancora forte la tensione dell’attesa e delle arrabbiature dei giorni precedenti...

Mi preoccupo anche di avvisare subito p. Alberto che attualmente è alle prese con il riempimento di un altro container da inviare quaggiù. Molto euforico lo informo della bellissima novità: è molto contento anche lui perché finalmente il calvario è finito, però subito subito mi dice di chiedere alla Caritas, una volta per tutte, l’elenco completo dei documenti necessari per l’invio di un altro container soprattutto a seguito delle nuove disposizioni di legge entrate  in vigore a marzo di quest’anno.

Arrivo container

Quindi tutti fuori: c’è il rito dell’apertura del container. Ci servirebbe un seghetto per ferro e ricordo che l’anno scorso ne avevo conservato un, ma ora a distanza di tempo pur cercandolo minuziosamente non lo trovo. Cerco di arrangiarmi con uno scalpello da muratore e un grosso martello. Colpi su colpi ma il sigillo è li fermo e continua a tenere chiuso “lo scrigno”. Vicino alla nostra casa, a circa cinquanta metri, c’è una “ferreteria” e pertanto, chiedo a p. Ottavio se può andare a comprarne uno. Listo/pronto sale in macchina, mette in moto, parte e si ferma davanti al negozio. Tra i presenti corre uno sguardo divertito: anche P. Ottavio è nel pallone se per fare 50 mt. prende la macchina!!!. Per fare prima torna indietro a piedi con un seghetto. Mi arrampico su una scala che abbiamo in dotazione nella casa e inizio l’operazione. Dopo alcuni minuti il sigillo viene tolto, ci sono solo le maniglie che ci impediscono l’apertura del container. Ci provo da solo ma queste non ne vogliono sentire di aprirsi perché hanno un sistema contro le aperture accidentali. Uno dei ragazzi vedendomi in difficoltà si arrampica subito sul container veloce come un gatto senza passare per la scala, insieme prendiamo la maniglia e con uno sforzo comune riusciamo a smuoverla. Il container si può aprire… Mi ricordo che a Selargius, al Centro Giovanile Domenicano, quando si stava riempendo il container tante cose erano state infilate a forza e già allora correvano il rischio di cadere. Lo apro piano piano stando attento a che non cada nulla. Si vede che durante il trasporto tutto il contenuto si è ben assestato perché non ho sgradite sorprese.

Si iniziano i lavori di svuotamento e le scatole vengono portate all’interno della casa e disposte secondo un ordine già organizzato e consolidato in passato. Immaginate di dividere la stanza in quattro parti: in ogni angolo vengono disposte le scatole contenenti ora l’abbigliamento, ora i giocattoli, ora le medicine, ora i quaderni; successivamente l’abbigliamento verrà suddiviso tra uomini, donne, ragazzi, bambini e neonati, inoltre scarpe e borse. Le scatole con un destinatario particolare vengono sistemate sotto la champa.  

Il lavoro prende l’avvio e scorre regolarmente, ognuno ha il suo compito: Claver è il fotografo ufficiale, Barbara e Rita  spuntano i numeri dall’elenco e organizzano gli spazi interni alla casa dove si trova la “Champa” e dove andranno tutte le altre cose destinate a P. Mario, alle Suore di Poptùn e a quelle di Santa Eléna. Io mi fermo dentro la casa per sistemare le scatole in maniera tale da ottimizzare gli spazi e consentire a Barbara di fare una spunta precisa. Marcello rimane fuori con i ragazzi a scaricare. All’interno del container due giovani passano le cose da portare all’interno.

Nel giro di alcune ore il container è completamente vuotato, dentro in casa e fuori siamo invasi da scatole, biciclette, lettini per bambini e scrivanie smontate.

Un attimo per prendere fiato ed ecco di nuovo impellente il problema dell’acqua. Non so a chi rivolgermi per risolvere il problema. Se ci fosse stato Gigi il fratello di p. Ottavio insieme avremo visto cosa fare. Mi ricordo che il papà di Claribel è un tecnico del Comune di Dolores, e pertanto la chiamo per sapere se è a conoscenza dei motivi per i quali da diversi giorni l’acqua non arriva o se può informarsi tramite il padre. Claribel mi dice che si è scassata la pompa che manda l’acqua e che è stata portata a Città del Guatemala per essere riparata. La cosa mi preoccupa alquanto perché conoscendo i tempi guatemaltechi non vedo un futuro roseo per noi per ciò che riguarda l’approvvigionamento dell’acqua.

Immerso in questi pensieri, arriva Echevito, il padre di Claribel che vuole vedere come sono organizzati i tubi che portano l’acqua ai tre tank della casa e mi dice che il problema reale di questa mancanza è che ci sono dei guasti in prossimità del punto da dove parte l’acqua da distribuire ai vari rioni e che il tutto si risolverà nel giro di poche ore. Da quel momento, speranzosi, abbiamo ricevuto l’acqua dopo altri due giorni. Echevito si rende conto che siamo in grosse difficoltà per l’acqua, non ne abbiamo neppure per utilizzare il bagno, gli chiedo se può indirizzarmi qualcuno che può portarci l’acqua con una cisterna in maniera da avere una piccola scorta e arrivare così a quando tutto sarebbe tornato alla normalità. Siamo disposti a pagare il servizio. Echevito mi dice di non preoccuparmi perché avrebbe risolto il problema in qualche modo ma mi lascia dovendo rientrare al lavoro. Intanto il cielo si copre di nuvole e con la paura che da un momento all’altro possa piovere spostiamo tutte le scatole che si trovano fuori all’interno delle stanze o sotto la champa.

L’autista del container mi chiede di firmare per poter rientrare a casa sua a El Salvador, una nazione confinante con il Guatemala.

Il campanello suona, fuori dalla porta c’è il regalo di Echevito, la macchina guidata dal figlio, sulla quale sono trasportati tre grossi bidoni pieni di acqua presi dal fiume e che devono essere scaricati… Non chiedo da quale fiume  provenga quell’acqua, e da un sommario sguardo non mi pare troppo limpida ma ne abbiamo troppo bisogno anche per lavarci. Organizziamo la catena per svuotare i bidoni. Ognuno di noi viene dotato di un recipiente da riempire e da svuotare nella cisterna interrata. Quando mi trovo vicino alla macchina per aspettare che mi venga passato il recipiente pieno, noto, da residui grossolani di escrementi,  che la macchina viene adibita anche al trasporto di animali. La mia bacinella e anche tutte le altre, durante il giro, vengono poggiate sul pianale prima di essere prese, infilate dentro i bidoni e poi riconsegnate piene. Barbara e Rita, durante il loro turno di attesa, si accorgono della cosa e vorrebbero cercare di evitare che i secchi e le bacinelle vengano appoggiate sul pianale della macchina. Consegnano al ragazzo un secchio pulito, ma lui, incurante del problema e senza capire le intenzioni di Barbara e Rita, prende il secchio lo infila nel bidone e lo riconsegna pieno ad un altro ragazzo. Vedo lo sguardo schifato di Rita e Barbara consiglio loro di fare buon viso a cattivo gioco e far finta di niente. Il lavoro continua così fino al completo svuotamento dei tre bidoni. Chiedo se è possibile ricever altra acqua ma il ragazzo vuole prima il parere di Echevito suo padre. Lo chiamiamo al telefono e gli spiego che un visaggio di tre bidoni non è sufficiente e così vengono fatti altri due viaggi. Abbiamo un poco di acqua sufficiente almeno per lavarci. Ci è stato assicurato che il giorno dopo avremmo avuto nuovamente l’acqua. Tutti lo speriamo.

I ragazzi sono esausti e noi con loro, tutti contenti per aver svuotato il container. Per concludere in bellezza invitiamo tuti i ragazzi che hanno collaborato, a mangiare pasta italiana appena scaricata. La risposta è unanime ed entusiasta, consiglio comunque che vadano al collegio a darsi una rinfrescata e poi poco prima dell’una tornino indietro per il pranzo. Sono solo le 11,30 del mattino, abbiamo fatto velocissimi. Anche noi con l’acqua appena portata ci facciamo una veloce doccia e subito pronti per preparare il sugo per condire la pasta.

I ragazzi sono nove e noi quattro, dopo veloce consultazione decidiamo di cucinare due chili e mezzo di pasta eventualmente fosse avanzata i ragazzi se la sarebbero portata via per fare la cena. Pochi minuti prima dell’una ce li ritroviamo davanti alla porta, tutti tirati a lucido ed eleganti come se stessero andando ad una grande manifestazione. Sono studenti del quinto anno, sono ragazzi meravigliosi sempre con il sorriso sulle labbra e disponibilissimi a collaborare con “los italianos”.

Il mio pensiero per un attimo corre veloce ad altri momenti ad altre situazioni meno felici, non ci voglio pensare: oggi tutti siamo contenti in quanto oltre al container e ad un piccolo approvvigionamento di acqua abbiamo ricevuto dall’Italia i nostri nuovi biglietti che ci confermano la data del rientro per il 21 di maggio. Non vediamo l’ora di rientrare, due mesi interi sono pesanti da passare, lontani dalle nostre cose, dai nostri affetti, dai nostri impegni, quasi tre decisamente quasi “assurdi” ma era necessario e doveroso fare questa scelta di spostamento della data del rientro, per far sì che tutto il lavoro svolto in Italia presso il Centro Domenicano da altre persone che come noi hanno a cuore la situazione che si vive in Guatemala vada a buon fine e che tutti gli aiuti mandati vadano realmente a chi ha bisogno. Sono convinto che chi ci leggerà capirà le nostre scelte.

Hasta luego

Francisco