DIARIO 3
Missioni

25 marzo 2013

Questo diario è una novità in tutti i sensi: nonostante venga in Guatemala  da  diversi anni ciò che vi racconterò non mi era mai capitato; molte volte succedono delle cose strane e bizzarre che non ti aspetti, è una sorpresa in tutti i sensi pertanto non si fanno programmi a lungo termine ma si vive il momento così come si presenta (cogli l’attimo….).

Il 25 di marzo è iniziata l’attività legata alla Settimana Santa e pertanto P. Ottavio, che quest’anno è solo solo, tutti i giorni deve andare in quattro aldee differenti per celebrare la Messa Pasquale. Restato solo a Dolores – Barbara, a causa di un incidente è dovuta rientrare in Italia - gli faccio compagnia  nel suo peregrinare da un’aldea all’altra, anche perché non dovendo programmare le mie attività con altri posso decidere liberamente i miei movimenti.

Ogni giorno di quella settimana dovremo visitare 4 aldee. Il programma del primo giorno riguarda Los Olivos, Naranjon, Centro Maya e Sacul Arriba. P. Ottavio mi racconta che Naranjon è particolare trattandosi di un villaggio che incontra delle grosse difficoltà a creare gruppo e così anche lui, nonostante tutti gli sforzi, non riesce ad inculcare il germe della solidarietà. Dopo i soliti sobbalzi arriviamo alla chiesa e, per il momento,  ad eccezione del catechista che ci invita a metterci comodi perchè i “fedeli” arriveranno, non c’è nessuno. A quel punto P. Ottavio, visibilmente sconcertato, decide di fare un giro di tutto il villaggio avvisando con vari strombazzamenti il suo arrivo per la celebrazione, anche perché poi ha un altro appuntamento in un’altra aldea e lui agli orari ci tiene molto. Passa più di mezz’ora prima che si inizi a vedere qualcuno…... A prescindere da tutto è comunque molto bello vedere arrivare le donne nei loro abiti multicolori, le gonne con ricami differenti a seconda del gruppo etnico di appartenenza. Intanto come sempre quando vengo nei villaggi, colgo l’occasione per fare delle foto che poi in parte utilizzerò per inserire nei diari e, le migliori, le utilizzerò per fare di anno in anno un calendario da proporre ad amici e conoscenti con l’obbiettivo di recuperare soldini che potranno essere successivamente utilizzati per piccoli progetti nei villaggi del Peten. Naranjon è un’aldea di etnia Q’eqchì, come Los Olivos, che, geograficamente parlando, si trova in posizione immediatamente successiva. Tra  i due gruppi passa una grandissima differenza: i primi sono chiusi e introversi e poco inclini alla socializzazione mentre quelli di Los Olivos sono sempre molto uniti e fanno si un vero gruppo chiuso, ma al suo interno molto solidale e aperto e ogni volta che raggiungo quella aldea vedo sempre persone sorridenti.

P. Ottavio decide finalmente di celebrare la Messa anche se non è presente tanta gente. La chiesetta di Naranjon è fatta di assi di legno, il pavimento è in terra battuta  e pieno di buche. La Messa dura circa quarantacinque minuti e subito dopo partiamo per raggiungere Los Olivos. La “palangana” della macchina è piena di bambini che non ne vogliono sentire di scendere perché hanno deciso di accompagnarci. Finalmente si parte. Altri sobbalzi e altri sconvolgimenti corporali dovuti alla strada sconnessa ci portano sulla cresta di una collina: in basso nella vallata, Los Olivos con le sue casette/capanna, alcune con i tetti di lamiera che creano bagliori impossibili da guardare, altre con il tetto di guano (un particolare tipo di palma), danno una bella visione d’insieme, in fondo la chiesetta dove già si vedono le persone che aspettano e un nugolo di bambini vocianti annunciano l’arrivo di p. Ottavio che si preannuncia con rumorosi e continui strombazzamenti del clacson. I primi a scendere dalla macchina sono i bambini che ci hanno accompagnato da Naranjon che pare abbiano vissuto sempre lì: riescono ad interagire con gli altri bambini  ed almeno loro pare non abbiano - al momento - le riserve mentali dei loro genitori. Tutti i presenti, uomini e donne, mi salutano e mi accolgono calorosamente perché oramai, venendo in  Guatemala da diversi anni, sono considerato uno del posto.  P. Ottavio celebra la messa e siccome non tutti capiscono lo spagnolo  Don Estebàn, il catechista locale, fa da interprete. Dopo la Messa, come sempre, il pranzo comunitario e gli immancabili saluti, e poi via, nuovamente in macchina, verso un’altra aldea. La palangana è di nuovo piena dei bambini che ci avevano accompagnato all’andata e che ora rientravano al loro villaggio di Naranjon. Si riparte e gli schiamazzi e le urla dei bambini coprono perfino il rumore del motore e… dei sobbalzi. Arrivati al cruces/bivio, una gragnuola di pugni si abbatte sul tettuccio della macchina informando p. Ottavio che tutti sono arrivati a destinazione pertanto vogliono scendere.

In questo preciso istante una bellissima notizia: mentre sto scrivendo il diario (sono le 21,30 di sabato 6 aprile) mi ha chiamato p. Ottavio  per informarmi che l’autista che  trasporterà il container, da Puerto Santo Thomas, lo consegnerà, davanti alla casa dei Missionari, lunedì 8 aprile alle 8 del mattino. Finalmente……!!!!!.

Riprendo a scrivere da dove avevo interrotto. Le aldee successive che quel giorno abbiamo visitato sono state quelle di Centro Maya e di Sacul Arriba.  Ogni giorno quattro aldee e quattro Messe tant’è che P. Ottavio per scherzare, quando mi annuncia ai presenti, dice che sono il “nuovo postulante”/novizio e così tutti ridono,  applaudono e mi fanno le feste. Fa piacere vedere tante persone sorridenti e allegre quando vedono nuovi arrivati, ma giochi, risa e un parlare fitto specie da parte dei bambini, non si accettano durante la celebrazione della Messa, tanto è vero che spesso P. Ottavio  è tentato di interrompere la funzione religiosa per dire ai genitori di calmare i loro figli affinchè la Messa possa avere il suo corretto svolgimento e la giusta sacralità .

In queste ultime aldee non sono accadute cose particolari da raccontare o che forse non ho colto per la stanchezza, ma la giornata non è terminata così’…tranquillamente.

Sulla strada del ritorno P. Ottavio ha ricevuto una telefonata e dall’espressione del viso mi sono reso conto che non si trattava di una buona notizia. Al termine della conversazione mi informa che due giorni prima a Mopan Dos un ragazzo di 15 è morto affogato in un torrente forse a causa di un malore e pertanto i genitori vorrebbero che P. Ottavio celebrasse la Messa “corpore praesenti”. Ottavio, mi chiede se voglio essere accompagnato  a casa visto che quel giorno di Messe ne ho già sentito quattro, ma la mia risposta è scontata perché decido di accompagnarlo,  tanto oramai, ridendo, gli dico che  un posto in Paradiso me lo sono garantito da tempo. Mopan Dos non è esattamente sulla strada del rientro pertanto arrivati fino alle prime case di Dolores abbiamo dovuto svoltare in un’altra strada che da li a poco ci porterà a destinazione. Passata  circa mezz’ora, arriviamo e sul posto troviamo anche Suor Gherardina e Suor Virginia.

In queste circostanze luttuose in Guatemala c’è la tradizione di invitare tutto il villaggio alla veglia, nel corso della quale i parenti offrono cena, bibite e dolcetti a tutti i presenti. P. Ottavio mi racconta  che spesso le famiglie del defunto, per mantenere viva la tradizione, siano costrette anche ad indebitarsi. Arriviamo dove la veglia funebre è in pieno svolgimento: noto pochissima gente affranta dal dolore per la perdita di un ragazzo di 15 anni, come sempre moltissimi i bambini. Nel villaggio l’avvenimento, pur nella tragicità della situazione, è un’opportunità ghiotta per movimentare il normale e stanco incedere della vita, pertanto, visto il gran numero di presenti, penso sia confluita tutta la comunità. Lo spazio è piccolo, la gente è ammassata in tutti gli spazi liberi intorno alla capanna, la bara del defunto è sopra due tavoli ravvicinati, uno dei quali - a mio parere - è poco stabile visto che le gambe che lo sostengono – taglio recente di due alberelli con il machete - devono essere state fatte per l’occasione.

Mi auguro che non succeda niente e che il tavolo regga almeno fintanto che siamo sul posto.

P. Ottavio per poter celebrare è costretto ad infilarsi tra la bara e la parete in legno della capanna, ma ci vuole un altro tavolino che non si trova; dopo un poco di attesa, ne viene recuperato uno piccolo che per fortuna visto lo spazio a disposizione sembra fatto apposta per l’occasione. Si riesce ad infilare il tavolino nello spazio angusto così che p. Ottavio finalmente può celebrare. Tutte le sedie attorno sono occupate dai presenti, molti bambini ci stanno già dormendo sopra, pertanto con Suor Gherardina,  Suor Virginia e p. Ottavio rimaniamo in piedi.

Ma non aspettiamo molto perché dopo una decina di minuti arrivano quattro sedie anche per noi. Queste passano a fatica nello stretto spazio,  tanto che tra noi e p. Ottavio ci sono meno di 50 cm…. Tutto sembra procedere per il meglio. All’interno della capanna, distesi su un letto, conto almeno cinque persone, non mi pare che dormano anche perché sento rumori, vedo delle ombre, tutto è buio, non capisco gran che. Ad un certo punto sento cadere  uno sgabello, mi giro e vedo una ragazza che mi viene incontro con un machete sollevato: io sono seduto lì impietrito perché non so cosa fare, tutto succede in un attimo, non ci sono spazzi sufficienti per potermi muovere, ma vedo che la ragazza infila il machete sotto la mia sedia e vibra un colpo. A quel punto sposto il mio sguardo verso il basso e vedo la testa di un serpente corallo che se ne va strisciando lasciando da un’altra parte il resto del corpo. Prontamente faccio delle foto, ne scatto due per essere sicuro che riescano. Tutto questo è avvenuto quasi in silenzio, pochi si sono accorti della cosa, solo Suor Gherardina, che è al mio fianco. mi guarda intensamente come se volesse chiedermi se va tutto bene. Faccio cenno di si e la Messa continua senza nessun altro problema. La testa mozzata del serpente a circa 5 cm dal resto del corpo non ha fatto molta strada è lì ferma immobile. All’istante non mi rendo conto dell’accaduto,  ma poi, ripensandoci e ricordandomi che un giorno p. Ottavio mi aveva detto che il morso del serpente corallo uccideva un cavallo nel giro di poco tempo, ho iniziato a sentire i sudori freddi scendermi lungo tutta la schiena. Me ne sarei andato via di corsa da quel posto ma non potevo perché, anche volendo, non potevo uscire visto come ero incastrato e poi c’era da aspettare che p. Ottavio terminasse di celebrare la Messa. Ogni tanto si avvicinava il padre del ragazzo defunto per chiedermi se stavo bene, si vede che aveva notato il colorito del viso che non era più lo stesso di prima; rispondevo a cenni tentando di far capire che tutto andava bene ma in effetti sapevo solo io che non era esattamente così e non vedevo l’ora di andarmene da quel posto.

Terminata la Messa riesco ad uscire da quel posto quasi travolgendo Suor Gherardina e Suor Virginia, ma non faccio molta strada perchè p. Ottavio mi chiama e mi dice che i parenti del defunto vorrebbero che facessi loro delle foto vicine al morto. Guardo p. Ottavio e quasi gli urlo: ma stai scherzando? Lui tranquillo mi dice che è serio e che i parenti, visto che ho la macchina fotografica, vorrebbero immortalare quel momento. Sono senza parole perchè penso che quando era in vita non avevano mai avuto una foto del ragazzo e le volevano ora da morto. Non posso rifiutarmi e, anche se a malincuore, accetto l’incarico. La bara è come quelle che si vedono nei film americani con il coperchio diviso in due parti. Il padre si avvicina alla bara e apre la prima parte, c’è un vetro che separa dal morto, provo a scattare delle foto ma vedo che non vengono bene e, per “passarmi”, dico che così non è possibile e che non si può fare niente. Cerco in tutti i modi di evitare questo compito che non mi piace,  ma il padre del ragazzo sorridente insiste e mi dice: “No tenga pena, no tenga pena, tranqilo…” (non si preoccupi, non si preoccupi, tranquillo),  si avvicina alla bara, toglie dei fermi e la scoperchia. Non posso credere ai miei occhi, sono costernato, se me l’avessero raccontato,  avrei faticato a crederci e invece è tutto vero. Il ragazzo morto è lì, con una camicia bianca, pantaloni lunghi e calze ai piedi, le scarpe non ci sono, dove andrà non gli servono. E’ rigido perché oramai morto da due giorni, le dita sono rattrappite e le unghie sono nere insomma è morto morto…. La bara è in alto e io sono in basso e loro vorrebbero che io facessi le foto in maniera tale che si possa vedere bene anche il viso del ragazzo. Qualcuno mi avvicina una sedia e capisco che ci devo salire sopra, Suor Virginia, non mi viene certo incontro, regge il coperchio onde evitare che questo possa chiudersi di colpo, mi armo di coraggio, salgo direttamente sul tavolo e prego solo che mi regga altrimenti sarebbe un vero caos se non dovesse reggere mentre io sono sopra.

Scatto alcune foto al morto da solo e subito dopo a turno, la sorella, una zia, la nonna, la mamma e infine il padre si fanno immortalare a fianco del defunto. A quel punto sono lanciato e chiedo se ci sono ancora altri che vogliono farsi fotografare, mi dicono di no perchè è una cosa riservata solo ai parenti più stretti. Scendo dal tavolo, la bara viene richiusa, la zia mi si avvicina e mi chiede per quando sarebbero state pronte le foto. Essendo in Settimana Santa la informo che se ne sarebbe riparlato la settimana successiva. La Santa Pasqua è passata e il lunedì mattina quando in Italia è il giorno di Pasquetta – da noi è festa, qui invece è giornata lavorativa -  alle 7 del mattino sento il campanello suonare,  penso ai solti ragazzini e non vado ad aprire. Ma subito dopo un nuovo trillo, capisco che non si tratta di ragazzini e a malincuore mi alzo e vado alla porta: davanti a me la zia del ragazzo morto che mi chiede le fotografie. In quel momento conto fino a dieci e con “calma” cerco di spiegarle che ancora non mi era stato ancora  possibile, ma che avrei adempiuto alla promessa quanto prima. Neppure il giorno dopo le ho potute fare perché, con p. Ottavio, sono andato a Città del Guatemala per risolvere ulteriori problemi legati al rilascio del container. Una sera in chiesa si avvicina Rolando, il sacrista, e mi avverte che c’è una signora che mi sta cercando perché gli ho promesso delle foto… Rolando non c'entra niente in tutto questo e non posso certo dargli una rispostaccia, ma gli dico solamente che le foto sarebbero state pronte per  il giorno dopo e che potevano venire a ritirarle. Oggi, domenica 7 aprile alle 22,50, le foto sono ancora sul tavolo a disposizione, ma nessuno è ancora venuto a prenderle…

Non penso più alle foto, le mie attenzioni adesso dovranno essere tutte rivolte all’arrivo del container, mi aiuteranno i ragazzi del collegio di p. Giorgio e così i giorni a seguire sicuramente non avrò da annoiarmi..

Francisco

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