DIARIO 2
Missioni

23 marzo 2013

I primi giorni di questa nuova avventura sono passati e con Barbara, dopo che la casa è stata tirata a lucido, ci siamo immersi nella vita corrente della Missione in Dolores.   Mentre sto scrivendo, Barbara è già rientrata in Italia poiché le è capitato un incidente che vi racconterà in corso d’opera. In questo diario farò riferimento ad eventi accaduti quando Barbara era ancora presente a Dolores.

La prima aldea visitata con p. Ottavio è stata quella di San Lucas. La strada sconnessa -  nonostante appariscenti cartelloni pubblicitari sui quali il Sindaco di Dolores Marvin Cruz, con grande enfasi, dichiara che le strade sono sistemate – è un continuo sali/scendi e sbattimenti, tipo montagne russe, che mettono a dura prova stomaco e addominali.

Durante il tragitto, con la coda dell’occhio, noto che p. Ottavio se la ride sotto i baffi e di lì a poco chiede chi si offre volontario per aprire i varchi che man mano si incontrano lungo il percorso (per arrivare a quell’aldea è necessario aprire e chiudere diversi cancelli che delimitano le “proprietà” e che impediscono alle mandrie di buoi e vacche al pascolo di sconfinare). Barbara – unica donna in macchina – lascia “volentieri” a noi l’onere della scelta, P. Ottavio è alla guida, quindi tocca a me  - per ben nove volte - scendere, aprire e richiudere le transenne di legno.

Finalmente arriviamo a San Lucas e stranamente non incontriamo nessuno, tutti sono ad una riunione riguardante la guerra civile del Guatemala negli anni 80 e gli effetti lasciati sulla personalità dei Campesinos. Al termine della riunione P.Ottavio ha celebrato la S. Messa, ma prima di entrare nella piccola chiesetta fatta di pietre e fango noto con piacere che a fianco sta sorgendo una nuova chiesa in muratura che una volta terminata potrà accogliere più comodamente molte più persone. Personalmente cercherei di conservare anche l’attuale costruzione che rappresenta la storia dell’aldea  dal suo insediamento.

Il giorno 14 di marzo, di buon mattino, il grande impegno: l’aldea de Los Arroyos. P.Ottavio, puntualissimo, arriva alle 7,00  saliamo in macchina e ci avviamo verso Suculté dove troveremo alcuni campesinos venuti apposta per fare con noi la strada. Per p. Ottavio è pronto un mulo e in teoria anche per me ci sarebbe un mezzo a quattro zampe ma che mi guardo bene dal montare perché al posto di una sella classica in cuoio il mulo a mia disposizione ha un basto in legno… Zaccheo, Lionel e Santiago – i campesinos -  si meravigliano del fatto che abbia rifiutato il mulo ma spiego che preferisco andare a piedi perché non sono avvezzo a montare a cavallo né tanto meno su basti di legno.

Intanto Barbara, Suor Imelda, Hector - un seminarista -  e Zaccheo ci hanno preceduti a piedi, forse perché più lenti rispetto a noi.  Intanto alla base Lionel e Santiago caricano il mulo che avrebbe portato i bagagli, zaini, viveri e sacchi a pelo per permetterci di trascorrere la nostra notte al villaggio di Los Arroyos. Finalmente si parte, la giornata per fortuna non è tanto calda perché ci sono le nuvole.  P. Ottavio con il suo mulo è in testa e fa da apripista, dietro seguo io con Lionel e Santiago che chiude la fila perché conduce il mulo con i bagagli. Il primo pezzo di strada non è pesante anzi è alquanto scorrevole e… scivoloso visto che passiamo attraverso una stalla dove tutto il terreno è cosparso dai “ricordi” lasciati dalle vacche. Per noi priorità è evitare questi “ricordi” che per p. Ottavio, in groppa al mulo, non sono certo un problema contrariamente a  noi che procediamo a piedi. L’aria tutto intorno è pesante e impregnata di “profumi”, tutti acceleriamo il passo perché non vediamo l’ora di passare oltre. Dopo circa una quindicina di minuti l’aria diventa di nuovo ottima e respirabile. Lasciamo il tratto pianeggiante e subito, come primo impatto, davanti a noi una salita molto ripida che ci impone l’obbligo di passare nelle tracce lasciate dai cavalli che più volte ci hanno preceduto. P. Ottavio ha solo il problema di convincere il suo mezzo di trasporto a camminare visto che si ferma per mangiare ad ogni cespuglio d’erba che incontra durante il suo cammino. Lungo il percorso attraversiamo due ruscelli e in uno di quelli colpa una pietra viscida perdo l’equilibrio e finisco dentro l’acqua con entrambi i piedi e fino quasi al ginocchio. Mi consolo pensando che forse avevo bisogno di provare l’impermeabilità dei nuovi scarponi in goretex messi per la prima volta. Superiamo il punto e subito dopo il torrente incontriamo una nuova salita che per fortuna, visto il tempo fresco, affrontiamo con rinnovata lena. Dopo poco davanti a noi Barbara, Suor Imelda Hector e Zaccheo. Finalmente in lontananza si scorgono le prime capanne di Los Arroyos che in linea d’aria sembrano vicinissime. Sulla cresta di una collina scorgo un giovane che cavalca un cavallo al galoppo e di li ha poco arriva da noi. Monta un cavallo bellissimo che non ha niente a che vedere con il “macho” montato da p. Ottavio.  Il cavallo è sudato e ha le narici dilatate per immagazzinare quanta più aria possibile vista la galoppata. Sembra uno di quei cavalli che si vedono nei film di indiani. Dopo la breve sosta e i doverosi saluti al nuovo arrivato faccio per riprendere il cammino ma mi accorgo di essere solo perché gli altri compreso p. Ottavio e il nuovo arrivato sono fermi. Guardo tutti con aria interrogativa e P. Ottavio mi dice che il giovane ha portato il cavallo per me e che per evitare che si offenda vista la corsa devo salirci sopra. Cerco di oppormi ma p. Ottavio insiste e così anche io sono a cavallo… Per fortuna che manca poco all’arrivo perché preferivo camminare. Quando arriviamo sono circa le 12,00 abbiamo impiegato poco meno di quattro ore. Hector con Barbara e Suor Imelda arrivano dopo circa quaranta minuti. Il pranzo ci viene portato quasi subito: fagioli e tortillas accompagnati con delle uova sode. La sosta per il pranzo è di breve durata visto che subito dopo ci sarà una prima riunione con gli abitanti del villaggio e subito dopo l’incontro con i bambini. La riunione finisce nel giro di un’oretta e i bambini ci informano della loro presenza con un rumoroso vociare. Suor Imelda ha portato giochini e dolcetti mentre con Barbara abbiamo portato delle caramelle che vengono subito messe nel mucchio dei pensierini da regalare ai bambini. Davanti alla chiesetta in legno c’è uno spiazzo dove i bambini giocano a pallone. Tutt’intorno è una strage di alberi, alcuni giganteschi, tagliati e abbandonati inutilizzati e neppure usati come legna da ardere. Noto comunque che è già stato appiccato un incendio ma che non ha raggiunto il risultato sperato visto che interi alberi sono ancora lì ingombranti, inutili  e ancora fumanti. Penso che ci sarebbe bisogno di una buona sensibilizzazione per la  salvaguardia dell’ambiente al fine di evitare uno scempio di tali dimensioni.

I bambini sono molti, almeno una trentina: fremono e scalpitano, i giochi iniziano, si gonfiano i palloncini e si preparano i regalini da consegnare dopo che con noi e le due maestre presenti a Los Arroyos avranno partecipato a dei giochini matematici. È un bellissimo colpo d’occhio vedere tanti bambini insieme ma c’è anche una spiegazione a tanta prolificità, in quel villaggio non c’è luce elettrica, si vive alla luce di candele di paraffina che p. Ottavio porta in tutti i villaggi a quintali dalla città del Guatemala e alle 19 più o meno sono già tutti a letto a dormire...

Non ci sono grandi attrazioni o diversivi a Los Arroyos, non c’è televisione e non ci sono bar o punti di ritrovo per cui tanta prolificità è anche giustificata. Con Barbara facciamo tante fotografie e insieme partecipiamo ai vari giochini. A me tocca un gruppetto di 6 bambini fino agli 11-12 anni, vicino a me c’è una delle due maestre con la quale proponiamo facili esercizi di matematica. Il gioco consiste nel chiedere delle tabelline e poi delle semplici addizioni e sottrazioni. Non sono tanto ferrati specie nelle tabelline dopo il 5 e comunque tutto, dopo circa una decina di minuti, finisce in gloria perché i palloncini oramai tutti gonfiati vengono consegnati ai bambini che con grida, strepiti e risate li lasciano andare per poi rincorrerli fino al bordo del campo. Non oltre perché dopo c’è lascarpata e può essere pericoloso vista anche la presenza di spuntoni di alberelli tagliati col machete.

 

Sono poco più delle 18 e il buio inizia a calare, p. Ottavio celebra la Messa e subito dopo tutti a nanna. Si sono fatte quasi le 20,  intorno a noi, tranne due del villaggio che aiutano a sistemare delle assi di legno su delle panche per creare un posto dove dormire, non c’è più nessuno solo il nostro gruppo. P. Ottavio decide di dormire sopra l’altare io unisco tre panche e ci metto sopra il sacco a pelo che mi è stato prestato. Barbara con suor Imelda dormiranno sulle panche che sono state preparate prima dai due catechisti del villaggio. Hector invece opta per dormire direttamente per terra non preoccupandosi né di insetti né di eventuali serpenti che possano entrare attraverso le pareti di legno della chiesa. Prima di andare a letto banchettiamo con il formaggio e la salsiccia che previdentemente mi sono portato dietro pensando che al pranzo avrebbero pensato gli abitanti del villaggio, mentre per la cena ci saremmo dovuti arrangiare… Tra una chiacchiera e l’altra intanto si sono fatte le 22 e a quel punto decidiamo di metterci a dormire. La notte passa tranquilla, la pioggia che senza interruzione batte sulle lamiere del tetto della chiesa ci accompagna fino al momento della nostra sveglia che avviene intorno alle 5,30. Il primo ad uscire per assolvere ai suoi bisogni fisiologici è p. Ottavio, subito a ruota seguo io. Fuori, una fitta nebbia e una pioggia sottile insistente e continua, la stessa che ci ha fatto compagnia durante tutta la notte. Fa anche freddo ma tutti per fortuna abbiamo di che ripararci. Con l’acqua di una bottiglietta che non ho bevuto la sera prima riesco a lavarmi denti e faccia e nel frattempo aspettiamo che arrivino nuovamente i tre dell’Ave Maria che ci hanno accompagnato all’andata, Leonel, Zaccheo e Santiago, con il mulo per p. Ottavio e quello che deve caricare i bagagli. Suor Imelda, Barbara e Hector non vogliono più aspettare e alle 6,30 decidono di mettersi in viaggio mentre con p. Ottavio aspettiamo fiduciosi l’arrivo dei nostri amici. Intorno alle 7,15 eccoli arrivare, i bagagli vengono caricati e p. Ottavio sale in groppa al suo mulo; con noi, per il rientro, c’è anche una signora del villaggio. La pioggia non accenna a smettere neppure per un attimo, la temperatura non è tanto calda ma va bene così perché sentiremo meno la fatica durante il rientro. La strada per tornare è molto pericolosa, è facile scivolare, per cui cerchiamo di stare molto attenti a dove mettere i piedi. La signora che ci accompagna decide di togliersi le ciabatte infradito e cammina scalza. Mi chiedo come possa fare… Camminiamo in fila indiana e dopo un paio d’ore raggiungiamo Hector, Barbara e Suor Imelda, sono in prossimità di un torrente e cercano di superarlo. Questa volta memore della precedente esperienza dell’andata evito di poggiare i piedi in punti instabili. Siamo tutti alquanto bagnati vista la pioggia. Aiuto Barbara a superare un punto un pochino scivoloso e proseguiamo, ma da quel punto decido di camminare in testa allungando il passo perché non ho voglia di continuare a prendere acqua. La signora che ci accompagna mantiene la nostra andatura, è abituata e ai piedi ha uno spessore di fango che sicuramente la protegge da eventuali punture. Arriviamo alla base di Suculté dopo tre ore e mezzo di cammino, siamo lì oramai da circa un’ora e p. Ottavio riceve una chiamata da parte di Suor Imelda che comunica che Barbara ha avuto un incidente, è scivolata e forse si è rotta una gamba. Ci mettiamo in macchina e percorriamo la strada fin dove è possibile arrivare con il fuoristrada, oltre il ruscello e fino alla base della ripida salita dove non è più possibile proseguire in macchina. Lì incontriamo suor Imelda Hector e Barbara che aiutandosi con due bastoni a modo di stampella, zoppica vistosamente e cerca di avvicinarsi a noi. Con p. Ottavio le diciamo di fermarsi dove si trova e per fortuna non si è tolta la scarpa altrimenti non avrebbe potuto più infilarla. Ci dice, cercando di minimizzare, che è una brutta storta, a caldo non ha sentito particolare dolore e per quel motivo non si è fermata ed ha continuato a camminare. Le dico subito che ha sbagliato a muoversi e che sarebbe dovuta restare dove era caduta e aspettare che arrivassimo noi. Oramai è lì e la aiutiamo a salire in macchina per tornare indietro a Suculté da dove ripartiamo poco dopo alla volta di Dolores. A casa, la sera dopo la Messa, arrivano Suor Gherardina con il medico che suggerisce a Barbara di farsi vedere all’ospedale di Poptùn, dove ci rechiamo tutti insieme con la macchina che Romeo ci aveva messo a disposizione.  Ci riceve un giovane medico - un traumatologo - il quale dopo aver fatto una radiografia al piede di Barbara le dice che è necessario un intervento chirurgico per ridurre la frattura scomposta del perone… Non è una bella notizia.

Ciò significa che tutti i programmi fatti fino a quel momento crollano e l’avventura di Barbara sta volgendo al termine. Barbara decide di affrontare l’’intervento in Italia ed avvia le pratiche per il suo rientro… Da qualche giorno è rientrata, è stata già operata e dimessa dall’ospedale, sta benino e dovrà portare una valva gessata per circa trenta giorni. Poi la riabilitazione.

E poi sarà nuovamente pronta per affrontare nuove avventure guatemalteche.

Francisco

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