DIARIO 1
Missioni

10 marzo 2013

La nuova avventura è iniziata il 4 di marzo 2013 con partenza da Cagliari e l’arrivo il 6 di marzo a Dolores nel Peten in Guatemala, passando per Roma, Madrid, Miami e Citta del Guatemala. Nella missione, più viva che mai, sono sempre presenti i due frati domenicani sardi - P. Ottavio e p. Giorgio -  che, chi ci ha seguito nelle precedenti avventure, certamente conosce.

Rispetto agli anni passati, questa volta in terra lontana, mi trovo da solo con Barbara, un’amica che ha fatto la sua prima esperienza missionaria lo scorso anno e, poiché anche a lei Dolores ha fatto breccia nel suo cuore, ha voluto ripetere l’esperienza anche quest’anno.

Per ciò che riguarda il viaggio da Cagliari a Dolores è meglio stendere un velo pietoso:  anche questa volta è stato massacrante, con  innumerevoli decolli e atterraggi e con levatacce alle 3,30 del mattino. Ogni volta mi riprometto di ottimizzare percorso e costi che oramai stanno raggiungendo livelli assurdi mettendo a dura prova tutte le buone intenzioni per continuare a fare del volontariato in queste regioni così lontane, ma accade sempre qualche imprevisto.

Così visto che il viaggio è andato com’è andato e per continuare con la serie negativa, il primo impatto, appena arrivati, non è stato dei migliori in quanto abbiamo avuto la sorpresa di trovare la “casa de los missioneros” decisamente trascurata e sporca sia per ciò che riguarda camere e pavimenti che per suppellettili da cucina. Mi pare che questa sia la prima volta che parlo della casa, di conseguenza, ritengo valga la pena di descrivere l’ambiente dove trascorriamo il nostro tempo quando non siamo impegnati in altre attività che ci portano in giro per villaggi.

La casa è composta da sei camere da letto con servizi privati in ogni stanza. Ognuna è fornita di uno o più letti a castello in legno massello e pesantissimi da spostare. Possono essere ospitate contemporaneamente  massimo una ventina di persone, ma quasi sempre ogni camera ha ospitato non più di 1 o 2 persone per volta. C’è  un’ampia cucina con annessa dispensa ed una grande sala da pranzo collettiva. Non è raro che con i volontari, a pranzo o a cena, ci siano anche i due missionari p. Giorgio e p. Ottavio.

Pare di essere in Sardegna – casa campidanese con “sa lolla” (il porticato)- perché tutte le camere si affacciano su un ampio cortile quadrato al centro del quale fa bella mostra di se una “champa”, un gazebo con quattro solidissime panchine in cemento che ho costruito insieme a Mario, un carissimo amico sardo con il quale sono stato a Dolores i primi due anni.

Sto pensando, visto che la casa missionaria è aperta a quanti vogliano fare un’esperienza importante di volontariato, di proporre un regolamento da affiggere sia nelle camere che negli spazi comunitari al fine di definire norme alle quali fare riferimento dal momento in cui si arriva a quello in cui si lascia la casa a disposizione di altri che arrivano.

Solitamente il primo giorno viene dedicato a sistemare la casa, specialmente gli ambienti – camere da letto, bagni, cucina e salone - che vengono vissuti quotidianamente. Quindi con Barbara ci siamo messi “all’opera” di buzzo buono con una buona dose di olio di gomito.

Il secondo giorno invece siamo stati invitati da p. Ottavio ad andare con lui a Santa Elena per partecipare ad una riunione che mi è parsa importantissima ed interessantissima solo a sentire il titolo del tema che verrà trattato : “Progetto Educazione sociale in Guatemala”.

Barbara ha deciso di restare a casa per ultimare i lavori di sistemazione mentre io accompagnerò p. Ottavio alla riunione.

Alle 7,30 sempre puntuale come un orologio svizzero P. Ottavio  è arrivato alla casa e, nel giro di pochi minuti, con il “carro” siamo partiti alla volta di Santa Elena.

Ci hanno accompagnato P. Giorgio e una missionaria spagnola che chiamano Paquita la quale, lungo tutto il percorso – circa 80 km. - ha tenuto la conversazione descrivendo alcuni aspetti di natura sociale riscontrati al Chal (Cial) un’aldea dove vive e svolge la sua opera di volontariato. Paquita ci ha raccontato che fino al momento in cui nella sua Parrocchia ricadevano 52 villaggi, lei ed il parroco Don Alfonso, un sacerdote spagnolo, riuscivano ad essere presenti in ogni aldea anche quattro volte all’anno. In questi ultimi tempi, dopo l’ultima ridistribuzione dei confini municipali e l’arrivo di una nuova comunità di Suore Missionarie Francescane, le aldee sono diventate 32 e gli incontri nei vari villaggi invece che aumentare, visti anche i nuovi arrivi, si sono addirittura dimezzati.

In un primo tempo Paquita non è riuscita a spiegarsi il perché di questa nuova situazione, e anche noi con lei, considerando l’aumento delle risorse disponibili. Ma la  soluzione non ha tardato ad emergere: le suore francescane, dopo i primi entusiasmi per la novità di andare ai villaggi, per il sopraggiungere dei troppi impegni all’interno della loro stessa comunità, avevano deciso di non avere più abbastanza tempo da dedicare ad attività di educazione sociale nei villaggi.

Lungo il tragitto da Dolores a Santa Elèna si era stata già fatta la premessa al discorso che successivamente, nel corso dell’intera mattinata, si sarebbe affrontato evidenziando tutta una serie di problematiche legate al sistema educazione in Guatemala ed in particolare nel Peten.

Intorno alle 9,00 siamo arrivati alla casa del Vescovo – Mons. Mario Fiandri, un altro sardo in terra guatemalteca - dove si sarebbe svolta la riunione. Personalmente non vedevo il Vescovo da novembre/dicembre dello scorso anno, cioè dall’ultima volta che ero stato in Guatemala, quando mi trovavo a Dolores per seguire i lavori di ristrutturazione del dormitorio del Collegio San Martin de Porres. Dopo i saluti di rito, averlo informato sulla salute di sua madre e avergli dato un veloce resoconto sulla nostra situazione nazionale in seguito alle ultime elezioni italiane, con il Vescovo, abbiamo raggiunto la sala riunioni dove è stata aperta l’assemblea. Oltre a noi 5 erano presenti i responsabili del Progetto educazione della Pastorale Sociale del Vicariato Apostolico del Peten.

Dopo una breve introduzione del Vescovo, la parola è subito passata ai presenti. Ognuno ha illustrato i vari progetti legati al problema educazione. Devo dire tutti molto interessanti se finalizzati nell’ottica di creare incontri tra le persone, ma secondo me non risolutivi ne influenti per ciò che riguarda una reale analisi del problema educazione.  Paquita che tra i presenti mi sembrava la meglio determinata ha raccontato che lei periodicamente cercava di creare degli incontri tra gli insegnati e i genitori ma che non riusciva ad avere dei risultati in quanto, i convocati, non riuscivano a stabilire un legame tale per cui si potesse creare un dialogo o uno scambio di pareri che poi potevano venire calati nel contesto dell’insegnamento. Di questa situazione Paquita soffriva molto anche perché non capiva come mai questo divario tra le parti….

Quando le discussioni sono entrate nel vivo ho chiesto la possibilità di poter intervenire esponendo anche il mio pensiero. Era scontato che dovessi esprimermi in spagnolo e quindi mi sono scusato per il mio “idioma” poco fluente.

Ho osservato che il problema sociale non si poteva certamente risolvere organizzando solamente incontri a livello locale, ma era necessario coinvolgere la politica e i suoi rappresentanti in maniera da “costringerli” a prendere delle iniziative concrete che a cascata avrebbero avuto ricadute sull’intero sistema migliorandolo. Al fine di mettere in evidenza ciò che intendevo ho portato come esempio il collegio San Martin de Porres che, secondo me per alcuni aspetti, poteva considerarsi -  in scala ridotta -  uno spaccato reale della situazione legata al problema educazione sociale in Guatemala.

A quel punto, purtroppo, il mio intervento ha sollevato un reale problema relativamente al quale sono emersi diversi aspetti dei quali lo stesso Vescovo non era a conoscenza e che di seguito provo ad esporre.

All’interno del Collegio è presente in pianta stabile uno psicologo che dovrebbe aiutare i ragazzi a superare situazioni di disagio legate soprattutto alla lontananza dalle loro case e dai loro contesti sociali.  I ragazzi, ha spiegato p. Giorgio, mangiano con 12 quetzales al giorno (circa il nostro 1,20 euro) che in un mese fanno 36 euro. E’ assurdo pensare che un giovane, nel pieno delle sue forze e della sua crescita, possa sopravvivere con una cifra del genere. Di conseguenza è anche quasi normale che in mezzo a circa un centinaio di studenti si possano creare situazioni allarmanti di ogni genere.

Come Onlus “PASSI per il mondo”, al fine di migliorare la qualità di vita all’interno del collegio, abbiamo provveduto a ristrutturare l’intero dormitorio creando delle stanzette da quattro posti letto per consentire ai giovani di godere di un po’ di privacy. Anche per quanto riguarda gli insegnanti la situazione è molto critica ed il livello di professionalità raggiunta è molto basso se si escludono pochi casi che hanno avuto la fortuna di avere una preparazione un po’ più elevata. L’intera gestione amministrativa del Collegio è lasciata alla buona volontà e disponibilità di alcune Onlus che provvedono a pagare lo stipendio degli insegnanti e per le necessità primarie.

Mentre veniva sviluppato questo tema,  sia  il Vescovo che tutti i presenti sembravano sbalorditi da quanto stavano ascoltando soprattutto per le difficoltà via via manifestate.

Mi sono subito reso conto di essere entrato in un campo minato, denso di insidie e problemi da risolvere con estrema urgenza visto soprattutto il contesto in cui si opera. Ritengo comunque che, anche a fronte di tutte queste difficoltà, sia importante parlare e confrontarsi, al fine di proporre idee e soluzioni varie. Per noi, lontani da questa realtà, serve per dare “scopo” e significato reale all’impegno morale, materiale e finanziario che mettiamo nell’essere presenti e partecipi in questa missione nella quale veniamo da anni.

Per meglio capire il contesto in cui si opera e per illustrare al meglio gli artefici di tanto impegno, ritengo giusto descrivere chi è e cosa fa il Vicariato Apostolico del Peten  il quale, essendo sul territorio, è una realtà più che concreta in tutto il Peten dove svolge un lavoro veramente immane nei confronti della popolazione guatemalteca.

Il Vicariato, sul territorio, occupa un’estensione equivalente ad un terzo di tutto il Guatemala. Fino a circa 40 anni fa, il Petén era un territorio dimenticato ed era considerato come il secondo polmone verde di tutta l’America Latina. Negli ultimi 20-30 anni la popolazione è cresciuta enormemente, soprattutto a causa della immigrazione in questa zona di contadini in cerca di terre. Questo aspetto però ha letteralmente sconvolto l’ambiente naturale, per il disboscamento ed il contrabbando di legname. Secondo il Vescovo e P. Ottavio, i principali problemi di questo vastissimo territorio riguardano oltre alla criminalità pura e brutale, il narcotraffico e la questione dell’acquisizione delle terre da parte dei contadini. Inoltre, per via della impunità e della corruzione, la violenza ed il crimine organizzato si stanno diffondendo e crescono sempre più nella zona. Pertanto, come Vicariato apostolico impegnato nell’ambito della promozione sociale, cerca anche di essere presente per ciò che riguarda la questione della terra anche dal punto di vista giuridico.

Altro tema è quello sui diritti della donna visto che in tutto il Peten e come in tutto il Guatemala la società è prettamente maschilista. Il Vicariato svolge un vasto lavoro di accompagnamento delle donne affinché abbiano coscienza della loro dignità e dei loro diritti e possano loro stesse essere protagoniste del loro sviluppo. Inoltre ma non ultimo, l’argomento educazione sia nel campo sanitario che in quello sociale è forse l’aspetto più preponderante delle attività in cui il Vicariato Apostolico del Peten sviluppa il proprio ruolo creando programmi ad hoc in tutte le parrocchie e nei rispettivi villaggi. La forza del Vicariato è composta da una trentina di sacerdoti di cui una decina originari del posto, e da un cospicuo numero di religiose, circa una cinquantina, che svolgono un  lavoro egregio nei confronti di minori orfani, spesso abbandonati e abusati. Infine dai catechisti che sono la vera colonna di tutto il Vicariato in quanto essendo essi stessi indigeni possono contare su una capillare penetrazione sul territorio. Non ultimo e meno importante il fatto che la popolazione dei villaggi si fida quasi ciecamente dei Catechisti che in genere sono dello stesso villaggio in cui operano.

Al fine di dare ulteriore informativa sul problema affrontato nel contesto della riunione mi pare importante esporre anche una piccola nota su tutto il Guatemala che, da sola, mi pare chiarisca in pieno il contesto in cui il Vicariato Apostolico del Peten opera.

Situazione Guatemala

Secondo stime ufficiali,  in Guatemala oltre 6 milioni di persone vivono con una retribuzione inferiore  a l’equivalente di 40 euri al mese. Pertanto poco meno di 2 euro al giorno da poter utilizzare per il fabbisogno personale e della famiglia. Circa 3 milioni vivono in condizioni di estrema povertà e disagio non potendo disporre neppure dei due fatidici euro al giorno. Il 70 % della ricchezza del Guatemala è nelle mani del 24% della popolazione e per tale motivo il Guatemala è terzo al mondo nella graduatoria della disuguaglianza sociale, dopo Brasile e Sudafrica.

La situazione sanitaria pubblica è allo sbando. L’80% dei bambini è denutrito e quindi facile preda di malattie quali la disidratazione, la denutrizione, la diarrea e le bronchiti che in altri paesi non esistono più. Ogni anno tra 25 e 30 mila bambini muoiono prima di compiere un anno di vita. A Dolores esiste l’unico Centro Nutrizionale di tutto il Peten ((regione grande una volta e mezzo la Sardegna)n dove noi già da diversi anni portiamo il nostro contributo.

Il Paese non ha grandi risorse naturali e in gran parte dipende dall’estero, soprattutto dagli Stati Uniti, soprattutto per quanto riguarda petrolio, macchinari, elettricità  e materiali da costruzione. Il Guatemala per contro è produttore ed esportatore di caffè, zucchero, banane e frutta in genere.

L’Istruzione in Guatemala.

L’istruzione  è suddivisa in due cicli, un ciclo primario obbligatorio di sei anni e due cicli secondari di due e tre anni. Spesso i giovani studenti si fermano dopo i primi due anni del secondo ciclo a causa delle scarse disponibilità economiche, per essere subito impiegati in lavori di manovalanza a basso costo. Le scuole, pur essendo gratuite, sono scarsamente frequentate a causa degli alti costi di trasporto dalle zone rurali nelle quali vivono la maggior parte delle popolazioni. Inoltre un altro grande problema è dato dall’eccessivo costo dei materiali scolastici, libri e quaderni, causando di conseguenza un altissimo tasso di abbandono fin dalla giovanissima età.

La situazione sulla preparazione degli insegnanti non è migliore considerando che spesso nel corso delle mie attività come volontario ho potuto essere presente alle lezioni sia all’interno del collegio che nelle scuole di a Dolores e dei villaggi. Vi sono numerose scuole private la cui frequenza è riservata ai più abbienti e quindi ad una ristretta minoranza. L’unica università pubblica è quella di San Carlos, a Città del Guatemala,  mentre altre 9 sono completamente private.

Il 15% dei bambini e delle bambine fra 6 e 15 anni sono considerati abili al lavoro. I loro turni lavorativi si aggirano intorno alle 40 ore settimanali senza nessuna tutela giuridica né salariale e  ovviamente questo fatto non consente una frequenza regolare alla scuola.

Vita giovanile in Guatemala

In Centroamerica più del 60% della popolazione è costituita da giovani fino ai 24 anni. La maggior parte di questi proviene da situazioni di estremo disagio perchè hanno origine da famiglie povere dove la violenza è presente quasi quotidianamente ed è ciò che impedisce di accedere a servizi sociali legalmente riconosciuti come scuola o lavoro.

I giovani sono anche l’unica risorsa della famiglia e per questo sono costretti a non frequentare la scuola e ad abbandonare gli studi in giovanissima età pur di trovare un lavoro ed essere così di aiuto e  sostentamento alla famiglia. In genere questi giovani trovano con facilità i cosiddetti “lavori di strada” dove solitamente vengono avvicinati da altri giovani che fanno parte di bande organizzate (Maras) i quali, promettendo accoglienza e protezione, li inseriscono in un mondo in cui il pericolo e la violenza diventano una costante di vita e dal quale è quasi impossibile uscire.

Per arginare questo preoccupante fenomeno, che è la prima causa di morte dei giovani nei paesi dell’America Centrale, è necessario intervenire sui problemi strutturali che generano ed alimentano le bande criminali che possono essere di natura sociale, politica, economica, culturale e familiare.

La riunione termina con un ultimo intervento da parte del Vescovo il quale pur ribadendo la sua completa non conoscenza a certi fatti riguardanti il Collegio san Martin de Porres, dichiara il suo interessamento affinché possano trovarsi delle soluzioni tali per cui p. Giorgio possa continuare a svolgere in maniera egregia il suo lavoro. Agli altri partecipanti dice che è importante continuare a stare vicino alla popolazione ma è altrettanto importante che ognuno per la parte che può svolgere debba cercare di essere maggiormente incisivo specie nei confronti di chi può dare risposte certe : le Istituzioni.

Nel frattempo si è fatta la una e tutti insieme si va a pranzo in un locale vicinissimo alla chiesa. Il menù una coscia di pollo quasi arrosto e quasi cruda, una insalata e una piccola porzione di pasta all’ananas…

Alla fine il Vescovo ci saluta tutti e ci dice arrivederci alla prossima riunione…

Francisco

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